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President Donald Trump and first lady Melania Trump attend a ceremony at the Pentagon to commemorate the 24rd anniversary of the 9/11 attacks, Thursday, Sept. 11, 2025, in Washington. (AP Photo/Julia Demaree Nikhinson)
«Non seguitemi. Mi sono perso anche io», recitava un cartello che qualche burlone sfoggiava sul retro della sua macchina anni fa. Donald Trump dovrebbe procurarsene una copia e sbandierarla sull'auto presidenziale. Se a volte the Donald sembra procedere a tutta birra in una direzione precisa anche se probabilmente sbagliata, in materia di politica estera gira a vuoto, imbocca sentieri che si rivelano vicoli ciechi, torna sui propri passi e ci riprova con lo stesso esito fallimentare. Promette molto, non conclude nulla. Formalizzarsi sulla promessa di risolvere la guerra in Ucraina nel giro di pochi giorni sarebbe ingeneroso. Quelle sono promesse da campagna elettorale: valgono quel che valgono, cioè meno di zero, e lo sanno tutti già in partenza. Ma l'incontro di Anchorage, Alaska, era tutt'altra cosa. Tappeto rosso per Vladimir Putin, pollice ottimista all'insù, i giornalisti già si davano da fare per scoprire dove si sarebbe svolto, di lì a pochi giorni, il fatidico incontro tra i due combattenti, lo stesso Putin e Zelensky, probabilmente con lo stesso mallevadore americano a fare da arbitro, paciere e dominus.
Rinfrancati dalla prospettiva arcobaleno i partner europei sono corsi a Washington accettando più o meno di buon grado ma senza un fiato il solo ruolo che Trump ritiene gli si adatti: quello dei vassalli. Si sa come è andata a finire. Se al posto della pace che sembrava a un passo non scoppia una nuova guerra mondiale è già grasso che cola.
Sul fronte di Gaza è andata anche peggio. La Casa Bianca ha sfornato una proposta di tregua dopo l'altra. Israele si è finta interessata giusto per compiacere il potente amico, come si usa fare con lo zio un po' rimbambito ma da tenersi buono. Hamas non si è mossa diversamente ma il colmo lo ha raggiunto Bibi Netanyahu che nel tavolo invocato dall'alleato a Doha ha visto l'occasione perfetta per far scattare un sanguinoso trappolone e i mediatori, invece di ascoltarli, li ha direttamente bombardati. Solo nei rapporti con l'Europa l'oscillante Donald sembra avere ben chiari in mente progetto, strategia e meta finale. Subalterni sono e tali devono restare. Vassalli se non addirittura colonie. Di sfuggita quello europeo è anche il solo fronte sul quale il presidente a stelle e strisce sia riuscito a sfondare.
Il guaio è che l'Europa, e l'Italia più di ogni altro, insiste nel seguire il presidente smarrito nel suo girovagare alla cieca e dunque nell'inchinarsi quando tocca. Qualcuno finge di alzare la voce, quelli che come Macron ci tengono all'immagine anche perché gli resta poco d'altro. Ma è sceneggiata: sinora, all'atto pratico, l'obbedienza è stata corale e unanime. Ci sarebbe comunque molto di male, ma va anche peggio dal momento che il timoniere ha perso la rotta e probabilmente non ne ha mai avuto presente alcuna.
E' possibile che una politica estera tanto sgangherata sia frutto non di inettitudine ma di preciso calcolo. Donald Trump è prima di tutto e forse esclusivamente un affarista. La sua personale lista delle priorità assolute vede al primo posto i suoi interessi, al secondo quello della cerchia che lo attornia, al terzo, se avanza un po' di spazio, quello del suo Paese e dei suoi ceti privilegiati. Gli sconclusionati balletti sui palcoscenici ucraino e di Gaza secondo molti camuffano un indirizzo ben più preciso e perseguito senza alcun tentennamento, che riguarda però non faccende secondarie come le guerre o la stabilità del mondo ma il lucro che quelle crisi sanguinose promettono.
Di certo, il leader più potente del mondo se potesse farebbe quel che Putin e Netanyahu possono permettersi di fare. Quanto pesino nei rapporti con i due sanguinari leader l'ammirazione, il desiderio di emulazione e anche una certa soggezione è incerto ma comunque si tratta probabilmente di un fattore rilevante. Di occasioni per alzare la voce i due gliene hanno fornite sin troppe ma il ruggito si è sempre risolto in pigolii. Ma se the Donald accetta una parte a tratti persino umiliante è forse perché il suo interesse nel tavolo della politica è in fondo limitato.
In ogni caso, vera o apparente che sia la confusione di Trump, per l'Europa che non cambia niente. Comunque è condannata a doversi reinventare di sana pianta o a essere messa in ginocchio una volta per tutte.