«Vogliamo avvertire il ristretto gruppo di criminali violenti e senza scrupoli, e chi li manovra dietro le quinte, che qualsiasi tentativo di giocare con il fuoco avrà solo effetti controproducenti».

Erano in molti gli osservatori internazionali a domandarsi quale fosse l'atteggiamento della Cina nei confronti delle proteste, sempre maggiori, che si stanno verificando ad Hong Kong, e la risposta è arrivata puntuale e in maniera esauriente.

OMBRE CINESI Ieri a Pechino, Yang Guang, portavoce dell'Ufficio affari di Hong Kong e Macao del Consiglio di Stato ( Hkmao), il maggior organo governativo per le politiche relative alla ex colonia britannica, ha usato toni da cattivo di ' Guerre Stellari'.

Il funzionario, in compagnia di altri sulfurei esponenti dell'Ufficio ha minacciato i dimostranti: «non sottovalutate l'immensa forza del governo centrale, chi gioca con il fuoco perisce».

Si tratta certamente di minacce giocate tutte sul piano psicologico, ma lo sciopero di lunedì che ha completamente bloccato Hong Kong, mostrando crepe anche tra gli stessi quadri politici della città, ha colpito nel segno.

LO SCIOPERO PREOCCUPA PECHINO Nonostante la forte repressione con l'arresto di almeno 150 persone e il largo uso di lacrimogeni e proiettili di gomma sparati da parte della polizia, in migliaia sono stati i lavoratori di almeno 20 settori ad aver incrociato le braccia, in particolar modo fra quelli impiegati nei trasporti ( arei, treni e mezzi pubblici).

Una situazione alla quale il governo di Pechino, pressato anche dai media interni come l'agenzia governativa Xinuha, non poteva che rispondere duramente. Al momento non si hanno notizie di movimenti di truppe e mezzi corazzati, sebbene ad Hong Kong sia di stanza una guarnigione militare cinese. Ma la definizione data al movimento di protesta, come composto da radicali violenti che «vogliono provocare il caos con una campagna di disobbedienza civile», non lascia spazio a molte interpretazioni.

COSA SUCCEDERA' ORA? La minaccia di una punizione che, secondo quanto ha detto Yang Guang, «arriverà molto presto», non ha però scoraggiato gli attivisti della protesta, iniziata il 9 giugno contro la cosiddetta ' legge sull'estradizione' e poi allargatasi alla richiesta di una maggiore autonomia e di più libertà civili e politiche.

Alle parole arrivate da Pechino hanno risposto infatti con un'altra conferenza stampa. Vestiti di nero, volti coperti e con caschi gialli, hanno ribadito che continueranno la lotta nonostante la repressione delle autorità e le ingerenze cinesi.

Hanno poi alzato la posta in gioco ulteriormente ribadendo alla governatrice filocinese Carrie Lam di «rimettere il potere nelle mani del popolo e rispondere alle richieste dei cittadini di Hong Kong».