La nuova svolta sul caso Ramy riapre uno dei dossier più delicati degli ultimi anni, intrecciando profili penali, responsabilità operative e polemiche politiche. La Procura di Milano ha notificato la chiusura delle indagini preliminari a sette carabinieri, ipotizzando a vario titolo omicidio stradale, lesioni, depistaggio, falso ideologico e false informazioni ai pm. Una decisione che provoca l’immediata reazione del leader della Lega Matteo Salvini, che definisce «assurda e vergognosa» la prospettiva del processo.

La notte dell’incidente e la morte di Ramy: 20 minuti di fuga e un impatto fatale

Era il 24 novembre 2024 quando il 19enne Ramy Elgaml morì durante un inseguimento nelle strade di Milano. A bordo di un T-Max guidato dall’amico Fares Bouzidi, il giovane percorse oltre 8 chilometri a velocità elevate, con tratti di contromano e punte superiori ai 120 km/h, inseguito da tre gazzelle del Nucleo radiomobile.

Secondo la ricostruzione della Procura, l’impatto sarebbe avvenuto all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta, dove l’Alfa Giulietta ‘Volpe 40’, condotta dal brigadiere Antonio Lenoci, avrebbe urtato la moto a 80 centimetri di distanza, provocando la caduta e lo slittamento. Ramy fu sbalzato contro un semaforo e poi investito dalla gazzella. Entrambi – Bouzidi e Lenoci – sono ritenuti responsabili dell’omicidio stradale.

Le accuse più gravi: omissioni nei verbali, telecamere taciute e ricostruzioni alterate

Le nuove contestazioni ampliano il quadro. Due militari, finora mai indagati, sono accusati di falso in atto pubblico perché nei verbali non avrebbero menzionato l’urto tra auto e scooter, nonostante la polizia locale avesse parlato fin da subito di “collisione”, la consulenza dell’ingegner Domenico Romaniello avesse confermato un «contatto posteriore» causa della caduta e le dashcam e le bodycam avessero ripreso tutto.

Secondo i pm, alcuni video sarebbero stati copiati, nascosti o omessi: un militare 48enne avrebbe negato di aver effettuato copie, ma la consulenza informatica ha recuperato messaggi che lo contraddicevano.

Depistaggio aggravato: testimoni minacciati e video cancellati

Altri due carabinieri sono indagati per frode processuale e depistaggio, aggravato perché avrebbero intimato a un testimone oculare di cancellare il video dell’incidente («cancella immediatamente il video, sali in macchina perché ti prendi una denuncia»), fotografato il suo documento per poi cancellarlo e costretto un secondo testimone a eliminare nove file registrati nei minuti dell’impatto. Accuse pesantissime, che la difesa contesterà nelle memorie e negli interrogatori richiesti nelle prossime settimane.

Le difese si muovono: istanze, memorie e la richiesta di riunire i procedimenti

Gli avvocati dei sette militari – tra cui Arianna Dutto, Ivana Anomali, Armando Simbari, Nicolò Laitempergher, Pietro Porciani, Michele Apicella e Paolo Sevesi – avranno 20 giorni per provare a impedire la richiesta di rinvio a giudizio. Anche i legali di Bouzidi, Debora Piazza e Marco Romagnoli, spingono per riunire i due filoni processuali: quello per resistenza, già concluso con una condanna a 2 anni e 8 mesi, e quello per omicidio stradale. La richiesta è motivata dall’“intrinseca connessione probatoria” e dall’esigenza di accertare la «verità storica dei fatti».

Lo scontro politico: Salvini parla di “vergogna”, la Procura va avanti

La scelta dei pm Marco Cirigliano e Giancarla Serafini riaccende un clima teso. Salvini definisce la vicenda un «paradosso giudiziario», collegandola alla campagna referendaria sulla giustizia. Intanto la Procura difende il proprio percorso, dopo che la gip Maria Idria Gurgo di Castelmenardo ha respinto due volte la richiesta di incidente probatorio. Nell’eventuale processo, la famiglia di Ramy sarà parte civile con l’avvocata Barbara Indovina.