Il vicepremier e ministro Matteo Salvini nel suo ultimo slancio garantista ha affermato, subito dopo la morte di Alexei Navalny, che «bisogna fare chiarezza». Secondo il leader leghista, a chiarire i contorni della tragica fine del principale oppositore di Putin saranno i medici e i giudici. Non tocca, dunque, ai giornalisti, agli opinionisti e ai politici intromettersi per «fare chiarezza». Il commento distaccato di Salvini non tiene però conto di tutto il contesto in cui è avvenuta la morte di Navalny, ucciso, come sottolineato tanto dalla madre quanto dalla moglie, dal sistema putiniano che controlla ogni settore dello Stato e da oltre vent’anni soffoca la Russia.

Credere – o far finta di credere – nell’operato imparziale dell’autorità giudiziaria che si occupa di oppositori e dissidenti è un po’ come pensare che il mondo sia abitato solo dalla fata turchina che si muove felice a piedi nudi su prati verdi, circondata da farfalle multicolori e festanti. Favole a parte, occorre prima di tutto partire dal fatto che il 16 marzo 2022, neanche un mese dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia è stata espulsa dal Consiglio d’Europa con la conseguente cessazione dall’essere parte contraente della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Già questo è un elemento per dubitare seriamente su come possa essere amministrata la giustizia in uno Stato che è tutt’altro che un Eden. I processi a carico di chi contesta Putin, di chi critica la guerra in Ucraina e di chi depone fiori per ricordare Navalny prendono una piega precisa. L’esito è scontato: il carcere o il pagamento di multe salate. Immaginare un'indagine e un successivo processo a carico dei responsabili della morte di Navalny è irrealistico. A meno che. Ma ne parleremo fra poco.

Un altro elemento che dovrebbe farci riflettere e dovrebbe far riflettere soprattutto il vicepresidente del Consiglio dei ministri della Repubblica riguarda la momentanea sparizione del cadavere di Navalny con la madre che si affanna a ricercarlo da un obitorio all’altro, da un ufficio all’altro, trovando sempre le porte sbarrate nella inospitale località di Kharp, nel Circolo polare artico. In qualsiasi Stato civile la salma di una persona morta in carcere, al netto delle pratiche burocratiche, viene messa a disposizione dei familiari nel giro di poco tempo per una degna sepoltura. Nella Russia di Putin, il Paese in cui nutre ancora fiducia il ministro Salvini, essendoci solerti e imparziali giudici e medici, a distanza di una settimana dalla morte la salma di Navalny non si trova ancora e, inevitabilmente, le ipotesi sulla fine del più importante oppositore politico si rincorrono. In più non si conoscono altri rilevanti dettagli, come la data dell’autopsia, la consegna della salma alla famiglia, il giorno dei funerali e il luogo della sepoltura. In attesa, infine, dei risultati dell’autopsia.

Sul lavoro dei giudici in Russia le perplessità e le preoccupazioni risalgono a diversi anni fa. Nel 2016, in un interessante articolo pubblicato sul giornale politico-economico “Kommersant”, gli ex Commissari del Consiglio d’Europa Nils Muižnieks, Alvaro Gil-Robles e Thomas Hammarberg posero all’attenzione delle istituzioni europee il deficit di indipendenza del sistema giudiziario della Federazione Russa. I tre esperti rilevarono “quattro problemi principali”. Per la precisione, «questioni relative alla mancata esecuzione delle decisioni dei tribunali nazionali; iniziative che incidono sull’efficacia del sistema internazionale dei diritti umani; insufficiente indipendenza della magistratura; nonché poteri eccessivamente ampi della procura». «Possiamo affermare con sicurezza – scrissero Muižnieks, Gil-Robles e Hammarberg - che finché il sistema giudiziario russo non diventerà più indipendente, rimarranno dubbi sulla sua efficacia e i giudici rimangono vulnerabili all’influenza politica ed economica».

Un altro passaggio è molto significativo: «La mancanza di indipendenza dei tribunali è complicata dal fatto che il sistema della giustizia penale ha un pregiudizio accusatorio, che porta spesso a una violazione del principio della parità delle armi. I diritti di difesa sono indeboliti da varie forme di molestie e pressioni sugli avvocati».

Il parere negativo sull’indipendenza dei giudici è espresso pure dagli avvocati che difendono gli oppositori politici. Dallo scoppio della guerra, due anni fa, secondo l’associazione OVD-Info, ogni settimana in Russia si svolgono circa venti processi a sfondo politico. Gli avvocati delle più importanti organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti umani non credono nell’imparzialità di chi è chiamato a giudicare. Un noto avvocato, che chiede l’anonimato, contattato dal Dubbio afferma che «tutti i giudici russi possono iniziare a lavorare solo dopo essere stati vagliati dai servizi segreti». «È questa – aggiunge - la risposta alla loro “indipendenza”. I servizi segreti fanno un controllo accurato sulla vita di ciascun giudice, prendendo in considerazione aspetti della vita professionale e privata, senza tralasciare, ovviamente, le posizioni e simpatie politiche».

Il controllo, dunque, sul potere giudiziario è totale. Potremmo così assistere ad un esito farsesco delle indagini sulla morte di Navalny con l’incriminazione di qualche criminale, apparentemente lontano dalle alte sfere del potere, sul quale addossare ogni responsabilità. Non mancano precedenti. Il pensiero va all’omicidio di Boris Nemtsov, avvenuto nel 2015 a due passi dal Cremlino. Il silenzio assordante di questi giorni parla lo stesso nella Russia di Putin e trova la sponda lontano da Mosca.