«Capisco la posizione della moglie di Navalny, bisogna fare chiarezza. Ma la fanno i giudici, non la facciamo noi». Lodevole. Lodevole e ineccepibile il senso del ministro Salvini per il giusto processo e la presunzione di innocenza.
Come sembrano lontani i giorni in cui l’allora ministro dell’Interno accusava via citofono i migranti di spacciare nei quartieri popolari di Bologna. Ma del resto che volete farci? L’uomo è fatto così: è genio e sregolatezza, croce e delizia come solo i veri campioni sanno essere.

E così, quando ti aspetti che Salvini condanni l’amico Vladimir, ecco che lui è lì a difenderlo, a fare distinguo in punta di diritto. Del resto Salvini non è solo, al suo fianco è sceso un altro campione del garantismo, quel Marco Travaglio che fino a ieri augurava la galera per un divieto di sosta e che oggi, invece, di fronte al corpo ancora caldo di Navalny, ci fa il predicozzo sul complottismo del “cui prodest”.

Sentite, sentite qui: «Se bastasse il cui prodest per accusare Putin di aver ucciso Navalny - spiega infatti Travaglio - allora i fratelli Kennedy sarebbero gli assassini di Marilyn, Schmidt dei capi della Raf, Marcinkus di Calvi, Andreotti di Pecorella, Sindona e tanti altri”. Insomma, per un giorno è rinato l’asse giallo-verde. E non se ne sentiva il bisogno…