Un incendio che non si ferma. E lascia gli Stati Uniti esposti a conseguenze che non è ancora possibile prevedere. Poco dopo l’uccisione di un 19enne a Detroit, raggiunto da colpi d’arma da fuoco durante una manifestazione ieri sera, è un agente federale a morire negli scontri seguiti all’assassinio di George Floyd. Si tratta di un uomo in servizio presso il Federal Protective service, ucciso stanotte  mentre presidiava la sede federale nel centro di Oakland. A renderlo noto è la polizia della città californiana. Che ha precisato come i «colpi esplosi» durante le proteste della notte scorsa abbiano anche ferito un secondo agente. I due uomini del Federal Protective service «sono stati raggiunti da colpi d’arma da fuoco» e «purtroppo uno di loro è morto a causa della ferite riportate», ha dichiarato la polizia locale. Almeno 7.500 persone hanno partecipato alle proteste nella notte, durante le quali, rende noto ancora la polizia, ci sono stati atti di vandalismo, furti in negozi, incendi ed aggressioni ai poliziotti. Sono stati eseguiti degli arresti. Il Servizio federale di protezione, che rientra nel dipartimento di Sicurezza nazionale, fornisce servizi di sicurezza e di contrasto presso le strutture del governo degli Stati Uniti. Il grado di tensione ha già suggerito al presidente degli Stati Uniti Donald Trump di mettere in allerta unità dell’esercito Usa per una possibile operazione a Minneapolis, epicentro della tensione. Secondo il generale Jon Jensen della National Guard del Minnesota, interpellato poco fa dalla Cnn, l’ordine trasmesso da Trump al Pentagono è «prudente. Anche se noi», ha detto il generale Jensen, «non siamo stati consultati su questa specifica cosa, credo che sia una mossa prudente fornire tutte le opzioni possibili al governatore, se il governatore dovesse scegliere di usare queste risorse».