Le tensioni che attraversano la Cisgiordania assumono contorni sempre più preoccupanti e finiscono per intrecciarsi con il dibattito internazionale sul piano di pace, mentre nuove violenze colpiscono anche cittadini stranieri. Tre cooperanti italiani e una collega canadese sono stati aggrediti all’alba nei pressi di Gerico da un gruppo di coloni israeliani armati di bastoni e fucili. L’attacco è avvenuto mentre dormivano nella casa dove alloggiavano: «Erano in dieci, mascherati. Hanno iniziato a picchiarci con pugni, schiaffi e calci in faccia e sulle costole», ha raccontato una delle vittime a Sky. I coloni, dopo aver rubato i loro effetti personali, avrebbero intimato al gruppo di «non tornare». Paura, ferite e uno shock profondo, ma nessuna conseguenza clinica grave.

La Farnesina si è mossa immediatamente, attivando il Consolato generale di Gerusalemme per garantire assistenza ai cooperanti. Un episodio che il ministro degli Esteri Antonio Tajani definisce «intollerabile», rilanciando l’appello al governo israeliano affinché ponga un freno alle violenze dei coloni, considerate «controproducenti per la realizzazione del piano di pace al quale tutti stiamo lavorando». Il titolare della diplomazia italiana ha ribadito la contrarietà a qualsiasi ipotesi di annessione della Cisgiordania da parte di Israele: «La popolazione civile palestinese deve essere rispettata».

Mentre la comunità internazionale condanna l’escalation, in Israele a dominare il dibattito è la richiesta di grazia presentata dal primo ministro Benjamin Netanyahu al presidente Isaac Herzog, legata al processo per corruzione che da anni lo vede coinvolto. Nella lettera indirizzata al Capo dello Stato, Netanyahu non offre alcuna ammissione di colpa; al contrario sostiene che il suo «interesse personale» sarebbe quello di arrivare fino in fondo al processo per essere scagionato. Tuttavia, scrive, «la sicurezza nazionale e la realtà diplomatica impongono il contrario», spiegando che una chiusura immediata del procedimento «favorirebbe la riconciliazione del Paese».

A sostenere la richiesta è stato anche Donald Trump, mentre l’ufficio del presidente Herzog ha fatto sapere che valuterà l’istanza «con responsabilità e sincerità», riconoscendone la natura «straordinaria» e le potenziali ripercussioni politiche. Sul fronte opposto, il leader dell’opposizione Yair Lapid rigetta con forza l’ipotesi di grazia: «Non si può perdonare Netanyahu senza un’ammissione di colpa e senza il suo immediato ritiro dalla vita politica». Nella serata di ieri, decine di manifestanti si sono radunati sotto l’abitazione del presidente per chiedere di respingere la richiesta, denunciando il rischio di trasformare Israele in una «Repubblica delle banane».