«È come la morte arriva, che mi fa paura. Non vorrei creare il dramma della morte turbata dal dolore, che metta in estremo disagio chi mi sta a fianco». Soltanto Aldo Cazzullo avrebbe potuto sfilare a Giorgio Armani le parole della fine. Che a rileggerle oggi, quelle parole concesse al Corriere della Sera in un’intervista realizzata con Paola Pollo appena un anno fa, sembra che lo stilista abbia fatto della morte il suo ultimo capolavoro di eleganza: se ne è andato insieme all’estate, nel primo grigio di settembre, lasciando che la notizia della sua scomparsa ci trovasse distratti e indaffarati.

La scossa c’è stata comunque, eccome, quando il team Armani ha annunciato «con infinito cordoglio» che il suo «suo ideatore, fondatore e instancabile motore» è morto «serenamente, circondato dai suoi cari», a 91 anni, nella sua Milano d’adozione. Nato a Piacenza nel 1934, il giovane Armani ci era arrivato nel 1949 senza alcun sospetto del destino a venire. Che comincia a prendere forma solo nel 1957, quando diventa vetrinista alla Rinascente dopo aver lasciato la facoltà di Medicina.

Qualcuno nota quelle vetrine di un’eleganza senza pari e così nasce anche lo stilista, prima che nascesse persino la parola. Decisivo è l’incontro con Nino Cerruti, che lo assume nel 1965 per occuparsi del marchio Hitman. Ma il suo nome compare pubblicamente per la prima volta nel 1974, quando nasce la linea “Armani by Sicons”, preludio all’uscita della sua prima collezione, nel 1975, anno in cui fonda l’omonima casa di moda, con sede in un atelier in Corso Venezia. Nel 1978 nasce il marchio Giorgio Armani, e un anno dopo la Giorgio Armani Corporation, che metterà le basi per la sua espansione oltreoceano.

L’anno della rivoluzione è il 1980, quando il nuovo linguaggio dell’eleganza maschile si incarna nelle movenze raffinate e disinvolte nel Richard Gere di “American Gigolò”: a firmare il guardaroba del protagonista è Giorgio Armani, che con le sue giacche destrutturate, le camicie morbide e i pantaloni fluenti entra nell’immaginario collettivo e si prepara a diventare simbolo dell’estetica anni Ottanta. Di un’eleganza sensuale e disinvolta, che abbandona la rigidità dei completi gessati degli anni Settanta per rimodularsi sui corpi vivi della strada. Quelli degli uomini e quelli delle donne, che finalmente possono calarsi dentro un tailleur dallo stile unisex, con le scarpe rasoterra. Sensuali e in carriera, esattamente come i maschi. E senza lustrini, né stravaganze da passerelle, ma nei colori tenui come la polvere con cui Giorgio Armani cuce la sua divisa da Re indiscusso della moda - pantaloni scuri e maglietta girocollo blu.

Un’icona riconosciuta e incoronata formalmente nel 1982, primo designer a conquistare la copertina del Time. Lo stilista che veste principesse, attrici e donne comuni. Maestro dell’essenziale, alchimista della semplicità priva di banalità, che aveva rintracciato nella propria biografia la formula vincente, in un mix di disciplina e genialità.

Da ragazzo «mi vestiva mia madre, in modo essenziale, legato alla sua natura, alla sua visione delle cose; molto semplice, con personalità però», aveva raccontato ancora ad Aldo Cazzullo. E così sembra di aver detto già tutto, di Giorgio Armani, di cui si può dire infinitamente altro. Dall’amore con Sergio Galeotti, compagno di vita e di lavoro morto troppo presto, al connubio con il cinema e lo sport, dalla linea casual all’alta moda. Da Coco Chanel e Yves Saint Laurent a se stesso, sempre se stesso, in tutti gli anni in cui è rimasto padrone del suo impero. Gigante del Made in Italy, uomo d’affari senza tempo né scadenza che aveva appena compiuto l’ultima impresa con l’acquisto della leggendaria Capannina di Forte dei Marmi, dove aveva conosciuto Sergio Galeotti negli anni Sessanta.

«Piango la scomparsa di una persona che ho sempre considerato un amico, mai un rivale. E non posso che inchinarmi davanti al suo immenso talento. Ai cambiamenti che ha apportato alla moda e, soprattutto, alla sua incrollabile fedeltà a un unico stile: il suo», scrive Valentino Garavani. Tra i tanti, nel mondo della moda, ad omaggiare Armani insieme alla politica e le istituzioni.

A cominciare dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che lo ricorda come «maestro dello stile e della moda e simbolo del genio italiano nel mondo. Personalità schiva e riservata, dalla costante infaticabile creatività, nei lunghi anni della sua carriera ha ridefinito, a livello internazionale, i canoni dell’eleganza e del lusso. La sua sofisticata semplicità, la sua cura per la qualità e l’attenzione ai dettagli, hanno ispirato e influenzato generazioni di stilisti». «Con la sua eleganza, sobrietà e creatività ha saputo dare lustro alla moda italiana e ispirare il mondo intero – è il messaggio della premier Giorgia Meloni -. Un’icona, un lavoratore instancabile, un simbolo dell’Italia migliore».