Da qualche giorno si parla della possibilità che l’Onu adotti la legge italiana sulla maternità surrogata. Una legge moralista, tecnicamente sbagliata, beghina e paternalista.

Sì, perché escludere che una donna possa scegliere qualcosa che voi non fareste e che siete certi la danneggerebbe è ferocemente paternalista. Non solo. L’idea che se io faccio qualcosa in un paese in cui quel qualcosa è legale sono comunque perseguibile è piuttosto bizzarra. E se lo scopo è quello di proteggere le persone e di eliminare gli abusi forse non è lo strumento più adatto. Non è ancora chiaro poi cosa accadrebbe a mio figlio.

Su alcune cose non si può non essere d’accordo: condannare lo sfruttamento, garantire le scelte delle persone, immaginare una legge non coercitiva ma in grado di proteggere le decisioni e di anticipare i conflitti o i disastri (possiamo ridurli, mai eliminarli; almeno nel mondo reale). La domanda complicata è: come? Vietando tutto e sempre?

La maternità surrogata o gestazione per altri o utero in affitto è un formidabile test cognitivo. È difficile parlarne con chi usa la dignità come una scusa e una roncola per decidere al posto di qualcun altro, con chi parla di abuso intrinseco e necessario e di violazione dei diritti fondamentali, confondendo l’abuso con ogni possibile pratica. Con il rischio che se tutto è abuso niente lo è.

È difficile parlarne perché chi è contrario (e per lo più è scandalizzato e indignato, sintomi forse già sufficienti per rilevare che qualcosa non va – fatta eccezione per i quindicenni e per quelli cui è stato rapito un figlio) non è solo contrario alla questione specifica, ma si sente moralmente superiore, si mette in fila ordinata nell’esercito dei buoni, si autoproclama salvatore del popolo.

Eugenia Roccella, ministra per la famiglia, sarà a New York il prossimo 10 ottobre per partecipare all’assemblea dell’Onu e in quella occasione si discuterà del rapporto della relatrice speciale sulla violenza contro le donne e le ragazze Reem Alsalem (Violence against women and girls, its cause and consequences, 14 luglio 2025).

La posizione di Roccella è sempre stata la stessa: non ci sarebbe differenza tra la surrogata e la compravendita di bambini, si augura che ci siano più controlli per chi torna da un altro paese con un neonato, i medici dovrebbero denunciare i nati da surrogata ( tra l’altro non ci sono dei registri dei nati da tecniche riproduttive ed è giusto così e quindi come li denunciamo? Quando immagini un divieto sarebbe sempre consigliabile chiedersi come applicarlo).

Qualche difficoltà con la libertà in generale sembra evidente, visto che anche rispetto all’aborto la sua posizione è abbastanza conservatrice: l’aborto è un male necessario, la RU486 ( cioè l’aborto farmacologico) è un malissimo, l’aborto non è un diritto e cose così. Sull’aborto sembra aver cambiato idea rispetto al passato. E, per carità, non è mica questo a essere discutibile. Ci mancherebbe che non si cambi idea negli anni o anche nelle settimane. Il guaio è sempre il come si difende o si condanna una possibile scelta.

Comunque, Roccella il prossimo 10 ottobre parlerà con tutta probabilità della legge italiana che sarebbe “all’avanguardia” ( chissà di cosa) e un esempio da seguire. In quel rapporto ci sono tante cose che non vanno. Tra le mie preferite l’apodittica dichiarazione che la mancanza di connessione gestazionale causerebbe al nato un maggiore rischio psicologico ( l’implicazione, tutta da dimostrare, sarebbe che quindi vietiamo?). E poi la conclusione.

«La pratica della maternità surrogata è caratterizzata dallo sfruttamento e dalla violenza contro le donne e i bambini, comprese le bambine. Rafforza le norme patriarcali mercificando e oggettificando i corpi delle donne ed esponendo le madri surrogate e i bambini a gravi violazioni dei diritti umani».

In queste poche parole ci sono molti degli errori di chi pensa che le intenzioni e le volontà non contino nulla, che il contesto sia irrilevante e che la coercizione sia la giusta soluzione per un questione complessa ridotta alla sua caricatura.