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A makeshift tent camp for displaced Palestinians stretches across an area near the Gaza City port, Monday, Sept. 1, 2025. (AP Photo/Jehad Alshrafi) Associated Press/LaPresse
Provate a organizzare un confronto su Israele e Palestina. Provateci in questi tempi giacobini, dominati più dal bisogno di schierarsi che da quello di capire, di accusare piuttosto che comprendere. Eppure siamo ben al sicuro, a centinaia di chilometri di distanza dai massacri: se non riusciamo noi a mantenere un briciolo di lucidità e sangue freddo, quante speranze possono esserci che laggiù trovino una via per la pace?
Ci ha provato il Consiglio nazionale forense, con l’ambizione antica e necessaria di illuminare con il diritto e con la ragione ciò che accade in Medio Oriente. Ci ha provato e ci proverà ancora, nonostante il contorno di polemiche e nonostante i pregiudizi di chi teme che il racconto sia univoco. Ma quel racconto, lo sappiamo, non è e non può essere univoco.
Ecco, potremmo partire da qui, e magari chiamare a testimoniare Edward Said, il più grande intellettuale palestinese, il quale scrisse: «In Medio Oriente ci sono due storie, quella israeliana e quella palestinese: entrambe vere e valide, legate a doppio filo».
E questa è la verità che spesso si nega. E viene negata perché, come ha ricordato il nostro Daniele Zaccaria, dentro quella guerra ci sono da sempre le viscere di ognuno di noi, la proiezione della nostra cattiva coscienza. Quasi che quel conflitto così drammatico serva a ritrovare la propria identità politica, ad aggrapparsi a vecchie categorie sbiadite: da un lato un residuo di anti-atlantismo, dall’altro l'ossessione di inciampare in tesi antisemite.
Ma la soluzione, o almeno l’antidoto a questa dicotomia da operetta, lo ha indicato poche settimane fa Eva Illouz sulle pagine di Haaretz, il più progressista e antigovernativo dei giornali israeliani. La sociologa franco-israeliana ha spiegato una cosa che pare semplice ma non lo è: non possiamo scegliere tra la lotta all’antisemitismo strisciante e la condanna per il massacro di Gaza, dobbiamo tenere insieme entrambi i fili.
Ed è qui che torniamo a Said, la cui voce manca come ossigeno in una giornata afosa. Dunque una intellettuale israeliana e un intellettuale palestinese giungono inevitabilmente allo stesso punto: due diritti per due popoli. Esattamente il contrario di quanto accade oggi, dove vige il tentativo reciproco di negare all’altro il diritto di esistere.
Ed è lo stesso schema per il quale Netanyahu e Hamas sono complementari: entrambi vivono dentro una continua e reciproca dialettica legittimatrice dalla quale traggono il potere e la “necessità” di esistere. Insomma, chi riduce la questione israelo-palestinese a una favola morale, a una partitura di torto e ragione, di bene e male, non ci aiuta: rafforza una visione manichea che porta inevitabilmente a uno scontro senza possibilità di soluzione. Complicare: questa dovrebbe essere la parola d’ordine. Non semplificare. Perché semplificare significa amputare la realtà, ridurla a schema binario.
Ecco, il 4 settembre sarà un’occasione per ascoltare, per legittimare entrambi i racconti, per renderli non solo compatibili, ma essenziali l’uno all’altro. E per spazzare via la polvere delle bombe dai punti di incontro che pure esistono, devono esistere!
Lo faremo con la relatrice Onu Francesca Albanese, la quale presenterà il suo ultimo rapporto: una costruzione teorica imponente, da leggere, anzi da studiare con attenzione. La sua premessa è chiara: ogni piega di Israele - la politica, l’esercito, l’accademia e pezzi imponenti di società civile - lavora da anni per cancellare la presenza palestinese dai territori. Dunque le uccisioni di civili non sarebbero danni collaterali della risposta al pogrom di Hamas del 7 ottobre, ma parte di una strategia deliberata, di “sostituzione etnica”.
Oltre all’avvocata Barbara Spinelli, ci saranno anche due rappresentanti dei giuristi ebrei - lo storico Davide Elber e l’avvocato Luigi Florio - non per smentire o bilanciare quel che dirà la dottoressa Albanese ma per offrire una visione diversa che può aiutare a completare il puzzle, a offrire maggior complessità. Perché – e qui torniamo al punto di partenza – in Medio Oriente ci sono due storie, entrambe vere, entrambe legittime. Ed entrambe vanno ascoltate.
E per questo dobbiamo ringraziare il presidente del Cnf Francesco Greco, il presidente dell’Oiad Leonardo Arnau e con loro tutta l’avvocatura per l'ostinato e paziente tentativo di portare la luce lì dove le ombre ci rendono ciechi. Anche quando fuori è buio pesto e la ragione si smarrisce…