Poveri ragazzi, sono proprio disperati, i cronisti del Fatto quotidiano. E non hanno neppure, dopo l’ultima sentenza della Cassazione, la soddisfazione di poter titolare “Il garantismo della Suprema Corte, dal G8 del 2001 alla trattativa Stato-mafia”, contro la sesta sezione. Perché questa ultima pronuncia del 18 ottobre scorso, che riguarda l’intera famiglia Dell’Utri e, sullo sfondo, Silvio Berlusconi, è stata scritta dai giudici della quinta. Deve esserci un contagio di garantismo, tra i giudici più anziani ed esperti.

Il giorno di quel titolo, il 18 dicembre del 2024, era quello successivo all’annullamento, con rinvio, di un processo poco conosciuto ma dal titolo quanto mai accattivante, “’Ndrangheta stragista”. All’interno del quale, in una sorta di improbabile, labirintico copia-incolla tra la mafia calabrese e Cosa nostra, la Procura di Reggio Calabria aveva tentato la fotocopia del fallimentare processo “Trattativa”, appunto, già bocciato a Palermo e destinato alla stroncatura definitiva in Cassazione. Naturalmente il nome di Silvio Berlusconi era sparso a piene mani, nelle parole dello stesso pm dei due gradi di giudizio, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, e di quelle dei più screditati “pentiti”. Uno dei quali aveva sognato di aver visto il leader di Forza Italia insieme a Bettino Craxi saltellare tra gli ulivi nella tenuta di un boss calabrese. Tutto smantellato, e ora l’appello-bis è in corso.

Processi demoliti uno a uno, ma l’ossessione Berlusconi rimane. Una volta perché gli si imputa di aver finanziato Totò Riina e la volta successiva perché sarebbe stata invece Cosa nostra a fornirgli i fondi da riciclare nelle sue aziende. Per non parlare dell’“azienda Forza Italia”, che sarebbe nata sulle ceneri delle bombe del 1993 a Milano, Roma e Firenze. Attentati che sarebbero cessati dopo quello fallito all’Olimpico di Roma del gennaio 1994, alla vigilia della prima vittoria elettorale del “Polo delle libertà”.

La visione strabica del circo mediatico-giudiziario impedisce anche la lettura delle carte. Che cosa vorrà mai dire per esempio la seguente frase tratta dall’ultima sentenza della Cassazione? “ Non è risultata, a oggi, mai processualmente provata alcuna attività di riciclaggio di Cosa Nostra nelle imprese berlusconiane, né nella fase iniziale di fondazione del gruppo, né nei decenni successivi”. Non vi rendete conto, caro dottor Travaglio, e cari dottoroni suoi seguaci, che questa è una vera assoluzione perentoria e definitiva “ad personam”? E anche “ad aziendas”? Qui non stiamo parlando di quei garantisti della sesta sezione, che infatti in questo caso è la quinta, ma delle parole scritte dai giudici dell’appello di Palermo, cioè, si suppone, i più esperti nel giudicare i reati di mafia. I quali hanno stabilito che i capitali dell’imprenditore Berlusconi erano “puliti”.

E già, ma come la mettiamo con Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e martire del carcere per conto terzi? Anche in questo caso era stata la Corte d’appello di Palermo a demolire pezzo a pezzo il castello dell’accusa che vedeva il paperone mafioso comprare il silenzio del suo fido scudiero.

Ma sentiamo che cosa dicevano quei giudici, parole su cui la Cassazione ha messo la pietra tombale: “È indimostrata e illogica la tesi secondo la quale Berlusconi avrebbe versato somme di denaro a Dell’Utri per ottenere il suo ‘silenzio’ sull’esistenza di indimostrati accordi con Cosa Nostra”. Allora: le parole “indimostrata”, “illogica” e ancora “indimostrati accordi”, che cosa vogliono dire? Qualche risposta potremmo averla, se andassimo un attimo indietro con la memoria, per esempio a sfogliare qualche quotidiano del 22 marzo del 2024. Le notizie che riguardavano il senatore di Forza Italia erano due, quel giorno.

Alla sentenza dell’appello palermitano era affiancata quella su un sequestro di dieci milioni di euro a Dell’Utri da parte della magistratura fiorentina. Ecco lo sfolgorante titolo del pezzo di Giovanni Bianconi sul Corriere: “I pm: quei soldi furono versati per pagare il silenzio dell’ex senatore. Il legame con l’indagine sulle stragi”. Proprio nello stesso giorno, Il Dubbio, che titolava “Morto Berlusconi ai pm rimane solo l’ossessione Dell’Utri”, riportava le parole dei giudici di Palermo: “Non può presumersi la natura illecita di entrate comunque tracciate, e delle quali i protagonisti hanno fornito una spiegazione non smentita dalle evidenze”. Ma quel giorno erano ancora i pm a farla da padroni.

È di nuovo il Corriere, ma in ottima compagnia della gran parte dei quotidiani, a citare “il silenzio dell’ex senatore anche durante gli anni del carcere, lautamente ripagato”. E poi a dare per scontato che Cosa nostra avrebbe appoggiato la nascita di Forza Italia in cambio “della promessa da parte di Dell’Utri, tramite Berlusconi, di indirizzare la politica legislativa del governo verso provvedimenti favorevoli a Cosa Nostra in tema di trattamento carcerario, collaboratori di giustizia e sequestro dei patrimoni”. Inutile ricordare che sarà proprio quel governo, con il dissenso dei parlamentari più legati allo Stato di diritto e alle garanzie, a rendere definitivo l’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario sul carcere impermeabile ai contatti con l’esterno.

Un duro provvedimento “antimafia” assunto con i voti mafiosi? Era proprio necessario attendere trent’anni per capire la contraddizione? È assurdo, se si constata che a Firenze -mentre attendiamo la risposta della procuratrice Rosa Volpe alla garbata richiesta della nostra Mafalda- è ancora vivente il quinto fascicolo, dopo quattro archiviazioni, sui “mandanti” delle stragi che poggia proprio su quel teorema. Quello che ormai è stato abbattuto in modo definitivo. Tanto che sono gli stessi antiberlusconiani più accaniti, quelli del Fatto (ma attendiamo ancora il verbo di Bianconi) a dover sotterrare l’ascia di guerra. Tanto che su Dell’Utri sono costretti a restare avvinghiati all’unico fascicolo esistente che abbia pronunciato una condanna, quella per concorso esterno, sì, “concorso esterno”, che vuol dire “non mafioso” ma una sorta di simpatizzante dall’esterno, per l’appunto.

A meno che non si possa prendere sul serio quella specie di film, che forse era un documentario, ma forse era invece opera di fantasia, di due autori che non ci sono più o di uno che usa un nickname neanche fosse su un sito di burraco. Questa partita, di Berlusconi e la mafia, è chiusa definitivamente, ragazzi miei. Spiace solo che non ci sia più il protagonista, vittima di toghe e penne in malafede, a goderne il risultato insieme all’amico Dell’Utri.