Mettiamo in fila i fatti, limitandoci agli ultimi due eventi, altrimenti non basterebbe un giornale intero. Il primo: giovedì scorso un giornalista veneto - inutile farne il nome, siamo contro ogni forma di gogna e di attacco personale - ha pensato bene di “confondere” un’arringa difensiva per una minaccia mafiosa. Durante un processo nei confronti di un presunto associato alla “mafia del Veneto”, l’avvocato difensore avrebbe infatti denunciato la pressione mediatico-giudiziaria esercitata dalla stampa locale. E questo, per il giornalista in questione, sarebbe più che sufficiente a iscrivere quello stesso avvocato nella blacklist dei colletti bianchi al servizio delle cosche.

Secondo fatto: più di 4mila comuni italiani hanno aderito a un accordo che consegna a Lex Capital - una società di consulenza finanziaria e giuridica - la gestione dei contenziosi. «LexCapital agirà in giudizio al posto dell’ente, che non pagherà alcun onere per il servizio ottenuto. In caso di vittoria, la maggior parte dei proventi andrà al Comune e solo la rimanente parte spetterà a LexCapital», si legge in una nota. Ed è bene ricordare che questo accade a pochi giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale della sudatissima e sacrosanta legge sull’equo compenso, che dovrebbe garantire ai professionisti - avvocati inclusi - un giusto compenso per il loro lavoro. Una legge che a questo punto rischia di essere vanificata, annullata da un accordo dal deciso retrogusto mercantilistico.

Ma sbaglia di grosso chi pensa che questi fatti riguardino solo gli avvocati. Dietro queste due notizie si cela la volontà di colpire i diritti stessi dei cittadini italiani, di indebolire la loro capacità di difendersi in un’aula di giustizia. Se un’arringa viene presentata come una minaccia mafiosa, e un comune svende i diritti anziché difendersi direttamente, con un proprio avvocato, in giudizio, allora il problema non è solo degli avvocati, ma della qualità del nostro Stato di diritto, perché come ha ricordato il presidente del Cnf Francesco Greco, “i diritti non sono merce”.