Va avanti. Non si ferma. La commissione parlamentare Antimafia continua a sfidare la Costituzione. E lo fa con il voto di tutti: maggioranza e opposizione, garantisti e partiti dell’intransigenza totale. Dopo i 7 candidati alle Regionali sarde del febbraio scorso dichiarati “impresentabili” nonostante nessuno di loro fosse stato condannato in via definitiva (e risultasse per uno solo dei 7 una sentenza sfavorevole in primo grado, comunque già impugnata in appello), la scena si ripete per la Basilicata. In totale spregio dell’articolo 27 della Carta.

In vista delle elezioni in programma per il 21 e 22 aprile, sono stati additati come brutti sporchi e cattivi 5 aspiranti consiglieri regionali. Tre di centrodestra e due di centrosinistra. Qui se ne omettono doverosamente i nomi e anche le liste di appartenenza. Si segnala solo che stavolta l’asticella dell’illegalità di Stato si è alzata, dal momento che neppure uno degli impallinati vanta condanne, e non sussiste dunque neppure la comunque vaga “copertura giuridica” della legge Severino. In tutti i casi c’è stato solo il rinvio a giudizio, e per neppure uno dei 5 candidati si tratta di illeciti riconducibili alla materia di competenza di Palazzo San Macuto, la mafia.

È vero. Le segnalazioni della commissione bicamerale non hanno alcun valore formalmente interdittivo. Ma come può una persona che si presume innocente, che ritiene dunque di avere il pieno diritto all’elettorato passivo, a partecipare cioè alla competizione elettorale, coltivare speranze di successo se un un’alta istituzione della Repubblica quale pur sempre è la commissione parlamentare Antimafia lo definisce “impresentabile”? E come si può non ravvisare la sfida ad almeno due articoli della Costituzione, il 27 (presunzione di non colpevolezza fino a sentenza passata in giudicato) e il 51 (diritto all’elettorato passivo), se la Bicamerale bolla come impresentabili anche cittadini imputati (e mai condannati) per illeciti che nulla hanno a che vedere, appunto, con la criminalità organizzata? Come può un organo costituzionale inoltrarsi in una simile avventura, nella consapevolezza di avere un enorme potere suggestivo, visto che la parola “antimafia” lascia immaginare che il “segnalato” sia come minimo in affari con qualche cosca?

In giorni in cui il Pd è travolto dalle speculazioni di Giuseppe Conte sui casi giudiziari di Torino e Bari, in una fase in cui lo stesso centrodestra, inclusa la garantista Forza Italia, è intervenuto per marcare la propria distanza da quegli sporcaccioni che, come a Torino, avrebbero la “colpa” di un padre sotto inchiesta per un peculato di ben 750 euro (ovviamente mai accertato da un giudice), ebbene in giorni così, pensare che Palazzo San Macuto potesse ritrovare la strada della legalità costituzionale, era evidentemente da ingenui. Nelle prossime settimane la presidente della commissione, Chiara Colosimo di Fratelli d’Italia, aprirà il dibattito sulla propria proposta di modificare il “codice di regolamentazione”, ereditato dai predecessori Rosi Bindi e Nicola Morra e “responsabile” degli ultimi editti, incluso quello sulla Basilicata. Ma è purtroppo improbabile che, in un clima in cui ormai la presunzione d’innocenza suscita ilarità (Nicola Gratteri docet), possa davvero cambiare qualcosa.