Scandalizzarsi, come fa il centrodestra, perché un procuratore nazionale antimafia esprime pubblicamente le proprie preoccupazioni sull'abolizione dei controlli preventivi della Corte dei Conti sul Pnrr è senza dubbio fuori luogo.

Il numero uno della Dna, Giovanni Melillo, ha pienamente diritto ad accendere i riflettori su provvedimenti che a suo modo di vedere possono aprire le maglie all'infiltrazione mafiosa. Questo non significa che il procuratore abbia ragione per forza, ma nessuno può accusare un magistrato di avere secondi fini solo perché esprime un'opinione. Nemmeno il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri, che si è spinto fino a dire: «La Procura nazionale antimafia si rivela una fucina di futuri esponenti politici della sinistra». Di certo, l'esponente forzista ha gioco facile nel ricordare che prima di Melillo ben tre procuratori nazionali hanno abbracciato la carriera politica una volta raggiunta l'età pensionabile, passando da Via Giulia a un'aula parlamentare quasi senza soluzione di continuità. E così i predecessori diventano l'alibi per istruire un processo alle intenzioni, per provare a censurare in maniera inaccettabile.

Ma l'attuale inquilino della “Super procura” non è Piero Grasso (arrivato a presiedere il Senato nel 2013 dopo essere stato candidato nelle file del Pd), né Franco Roberti (eletto eurodeputato nel 2019, sempre con i dem) e non è nemmeno Federico Cafiero De Raho (diventato deputato col Movimento 5 Stelle un mese dopo aver lasciato gli uffici di Via Giulia). Tutti ex magistrati di altissimo livello, s'intende, diventati però facile bersaglio di accuse di “partigianeria” per la loro seconda carriera senza toga.

Così, per quanto quasi sempre strumentali, i sospetti del centrodestra rischiano di diventare legittimi dal momento in cui il “salto” tra poteri dello Stato sembra essersi trasformato in una prassi. Prassi dalla quale Giovanni Melillo, arrivato in Dna da appena un anno, al momento è totalmente estraneo. E, ne siamo certi, vorrà rimanere tale anche in futuro, per difendere la propria libertà e la propria indipendenza professionale da attacchi politici e porre fine a una tradizione ormai consolidata di porte girevoli. Solo così le bordate di questo o quel partito finiranno cotte per sempre nel calderone delle strumentalità e la magistratura sarà finalmente libera da ogni sospetto.