L’altro ieri il Csm ha riportato le motivazioni con cui ha condannato alla sanzione della censura la magistrata Alessia Sinatra, rea di aver scambiato messaggi con Luca Palamara, l’ex Presidente dell’Anm, in cui chiedeva di fermare la corsa a capo procuratore di Roma di Giuseppe Creazzo, definendolo “porco”. Una reazione che penso sia naturale per una donna che vede il suo molestatore avanzare di carriera. Per quelle molestie, Creazzo aveva subito poi successivamente una sanzione disciplinare dal Csm, pari alla perdita di due mesi di anzianità. Una pena che è parsa talmente lieve, davanti alla gravità dei fatti, che ha suscitato giustamente polemiche vibranti.

La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha però ritenuto doveroso censurare anche la vittima, adducendo fra le motivazioni il fatto che la Sinatra non avesse denunciato il suo molestatore. Non solo quindi la magistrata, dopo aver subito un abuso, si è trovata sottoposta a procedimento disciplinare. Ma ora si trova addirittura sanzionata, fra l’altro, dando evidenza alla mancata denuncia. Un messaggio incomprensibile quello mandato dal Csm: perché sembrerebbe quasi che una donna che subisce molestie passi da vittima dell’abuso a colpevole della propria rabbia se non trova la forza di denunciare e di affrontare il calvario che ne segue.

Da donna, prima ancora che da parlamentare, non posso che solidarizzare con la dottoressa Sinatra ma allo stesso tempo indignarmi per tutte quelle donne che non hanno voce. Denunciare è doveroso, è vero. Ma è anche doloroso. Non tutte le donne vogliono rivivere il trauma, con deposizioni, indagini, processi. A volte, nelle more della giustizia, il procedimento diventa un secondo trauma. È giusto? No. Voglio dire che non si debba denunciare? Assolutamente. Spingerò sempre le donne a denunciare chi le molesta. Ma questo non vuol dire che si possa condannare chi invece questa forza non la trova. Una magistrata è, prima che un servitore dello Stato, una donna, un essere umano, con tutte le sue fragilità. Quelle fragilità che il Csm non solo ha ignorato ma ha trasformato in una colpa.

Al Csm suggerirei di dare una lettura ai dati ISTAT: il 76% di donne dichiara di non aver denunciato la molestia subita. La percentuale sale all’ 80% quando ciò avviene sul luogo di lavoro. Questa vicenda è l’ennesima conferma di come il mondo della magistratura richieda una profonda riforma. Una riforma che parta innanzitutto da un principio che sembra valere per tutti tranne che per questa categoria: chi sbaglia, paga.

Non mi stancherò mai si ripeterlo: finché per la magistratura varranno principi diversi, essa sarà irriformabile. Il mio appello al Ministro Nordio e al Governo è quello di intervenire al più presto con una vera riforma della giustizia, di non esitare a dare risposte ai cittadini ma anche a tutti quei magistrati che onestamente fanno il loro lavoro.

Occorre cambiare le regole del gioco, spezzare quella logica corporativa che porta le toghe all’autoprotezione e che non consente di avere un sistema davvero giusto. Troppi sono i casi che hanno lasciato con l’amaro in bocca: troppi, gli episodi in cui non solo chi ha sbagliato non ha pagato, ma è stato addirittura promosso. La vicenda Palamara è passata come nulla fosse: hanno ritenuto che cacciarlo fosse equivalente a cancellare il problema. Non è stato così. I fatti lo dimostrano. È ora che la politica intervenga.