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Quella della pm Alessia Sinatra sarebbe stata una sorta di «giustizia fai da te», un tentativo di condizionare l’esito della candidatura a procuratore di Roma del collega Giuseppe Creazzo, che quattro anni prima l’aveva molestata. E per farlo avrebbe sguinzagliato l’ex capo dell’Anm Luca Palamara, chiedendogli di evitare la nomina del magistrato, preferendo questa via a quella della denuncia, dimostrando così «evidente e profonda sfiducia nell’istituzione giudiziaria».
Sono pesanti le parole usate dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, che nei giorni scorsi ha depositato le motivazioni della decisione con la quale ha censurato la magistrata siciliana per via dei messaggi scambiati con Palamara. Un comportamento, il suo, che avrebbe colpito «il prestigio» dell’istituzione giudiziaria e, contestualmente, «leso la sua stessa immagine di magistrata attraverso l’indebita via dell’appartenenza correntizia».
La censura del Csm parte dalla disapprovazione per una scelta del tutto personale formulata dalla pm: quella di non denunciare Creazzo. Sinatra aveva infatti deciso di tenere per sé il suo dolore, limitandosi agli sfoghi in chat con Palamara. Messaggi carichi di disprezzo nei confronti dell’ex procuratore di Firenze, al quale augurava di non raggiungere l’ambitissima poltrona della procura di Roma, ma il cui unico scopo, ha affermato davanti alla sezione disciplinare, era quello «di voler esprimere e contenere, a salvaguardia della mia persona e del mio ruolo istituzionale, esclusivamente il mio dolore». Per il Csm, però, quegli scambi rappresentavano un tentativo di mettere materialmente i bastoni tra le ruote al percorso professionale di Creazzo, punito poi per quelle molestie con la perdita di anzianità di due mesi.
Sinatra, ha sentenziato la sezione disciplinare, avrebbe tentato «di perseguire la riparazione di un torto subìto quattro anni prima, mediante una sorta di “anelata e privatissima rivincita morale”», intesa dalla magistrata «come unica modalità suscettibile di darle soddisfazione e riparare in qualche modo il danno subito». Una modalità ritenuta «impropria e obliqua» dai giudici disciplinari, con la quale Sinatra avrebbe tentato di «condizionare negativamente le determinazioni» del Csm sulla nomina di Creazzo. Tale intenzione, secondo Palazzo dei Marescialli, si evincerebbe chiaramente dalle chat con Palamara, dalle quali «è emersa, altresì, la ferma determinazione della dottoressa Sinatra di contattare in prima persona» i consiglieri del Csm, «dichiarandosi disposta a tutto pur di impedire la nomina del dottor Creazzo (...) qualora il dottor Palamara non fosse stato in grado di farlo».
Sinatra, in sede disciplinare, aveva chiarito che quei messaggi erano dettati esclusivamente «dalla necessità di lenire la sofferenza e di ottenere in questo modo una giustizia riparativa». Ma per il Csm, il tenore delle chat «non è quello di una mera privata conversazione — comunque impropria in considerazione dei rispettivi ruoli istituzionali — su quanto potesse essere condivisibile che il dottor Creazzo andasse a ricoprire l’ufficio cui aspirava, ma è sintomatico dell’intesa tra i due soggetti che a qualunque costo avrebbero dovuto condizionare negativamente, attraverso impropri canali di stretta appartenenza correntizia, i componenti del Csm nella votazione».
A commentare le motivazioni è l’avvocato di Sinatra, Mario Serio. «Il deposito della sentenza disciplinare, completa delle ragioni, da un canto non desta sorpresa e dall’altro scuote le coscienze - dichiara al Dubbio -. Non stupisce perché già in un’intervista un consigliere estraneo alla sezione disciplinare aveva in sostanza ed in modo particolarmente originale la trama argomentativa della decisione poi puntualmente recepita. Lascia poi sbalorditi il fatto che la motivazione tralasci del tutto l’esposizione del grave fatto di violenza, giudizialmente accertato, da cui la vicenda è nata e trascuri completamente il tremendo impatto psicologico che l’abuso ha determinato nei confronti della vittima, verso la quale si leggono solo parole di biasimo e non una sola di solidarietà e comprensione. Il Csm - conclude - ha perso l’occasione per mostrare vicinanza nei confronti di una donna magistrato travolta da un evento che l’ha annichilita e segnata per sempre, preferendo punirla solo perché interlocutrice di Palamara in un ambito strettamente e dolorosamente privato. Questa terribile povertà di approfondimento ed il completo oblio delle difese ripetutamente svolte fonderanno l’inevitabile ricorso per Cassazione».