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ILARIA SALIS EUROPARLAMENTARE
Una decisione politica, frutto di accordo, ma anche di garanzia, quella che ha dato una boccata di ossigeno a Ilaria Salis, imputata nell’Ungheria di Viktor Orban, con la conferma dell’immunità. È stata la Commissione Affari Giuridici, cui seguirà, si spera, la decisione dell’assemblea plenaria del Parlamento europeo il prossimo 7 ottobre, a sancire che la deputata di Avs non sarà sottoposta a processo, e neanche al carcere, per lo meno fino al termine della legislatura.
A meno che, come ha paventato il relatore, lo spagnolo Lazara del Ppe, non intervenga la Corte di Giustizia Europea ad azzerare tutto e ad accogliere la richiesta dei magistrati europei, consegnando Ilaria Salis a un regime che mette agli imputati persino le catene ai piedi nelle aule processuali.
Come non ricordare che in Italia trent’anni fa destò scandalo l’immagine di Enzo Carra, portavoce della Dc, che era arrivato in aula con gli schiavettoni ai polsi? La Commissione ha dato un’interpretazione estensiva ai principi che regolano il sistema dell’immunità al Parlamento Europeo. Il principio stabilisce che il regime non prevede un privilegio personale del singolo deputato, ma la difesa dell’integrità dell’istituzione stessa. E il diritto, per ogni parlamentare, a esercitare liberamente il proprio mandato senza essere esposto a interventi arbitrari della magistratura.
Se si crede in questi principi, è poco rilevante il fatto che il reato di aggressione ad avversari politici di cui deve rispondere l’esponente di Avs sarebbe stato commesso prima dell’elezione. E neppure il fatto che non sia un reato d’opinione. Perché è la tutela del Parlamento a essere in discussione. E soprattutto la sua integrità, che non deve essere menomata dalla sottrazione anche di un solo deputato da parte della magistratura.
Per questo paiono incomprensibili le proteste di Matteo Salvini come degli esponenti di Fratelli d’Italia che avrebbero voluto vedere di nuovo Ilaria Salis in un carcere ungherese. Una volta eletta, l’ex occupante di case è diventata un deputato, le cui prerogative vanno mantenute al pari di quelle di tutti gli altri. Ed è inutile dire che un parlamentare è un cittadino come tutti gli altri, perché questa è una colossale sciocchezza. Perché nel momento in cui si rappresenta la sovranità popolare, si è chiamati a un impegno al servizio degli altri, e questo bene va tutelato. È una funzione che va protetta. Anche dalle intrusioni dell’ordine giudiziario. Qui da noi ne sappiamo qualcosa.
E sbagliano comunque la mira anche gli stessi compagni della deputata, come quelli del gruppo La Sinistra, che invitano a «non cedere alle minacce del leader autoritario Viktor Orban». Travestono di politica un problema che è invece di tipo giudiziario, ma che soprattutto mette in gioco l’equilibrio dei poteri. Anche gli esponenti del Pd non riescono a nascondere una certa ipocrisia. Dicono una cosa giusta, perché è vero che il voto ha molto a che vedere con le garanzie dello Stato di diritto. Ma non rassicurano sul fatto che il loro voto sarebbe stato lo stesso nei confronti di un avversario politico.
Sarebbe sufficiente ricordare quel che continua ad accadere nel nostro Paese da trent’anni a questa parte, come se il caso di Enzo Tortora non avesse insegnato niente. E niente è cambiato dopo lo sciagurato voto con cui il Parlamento nel 1993 ha abolito la sostanza dell’articolo 68 della Costituzione, quella che prevedeva l’autorizzazione delle Camere per poter processare un deputato o un senatore. Con il risultato che qualunque pm e qualunque gip potesse fare incursione, a volte anche politica, fino a violare l’integrità dell’istituzione. Quanti degli esponenti della sinistra, a partire da quelli del Pd, che hanno giustamente gioito per quella decisione, nel nome dello Stato di diritto, sarebbero disponibili in Italia a votare la proposta della Fondazione Einaudi e dei Radicali Italiani per il ripristino dell’immunità nel nostro ordinamento? Sarebbe una bella prova di coerenza.