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OLIVIERO MAZZA PROFESSORE DIRITTO ORDINARIO
Nel dibattito sulla separazione delle carriere sono intervenuti ieri due autorevoli esponenti della sinistra, Augusto Barbera e Luciano Violante, il primo favorevole e il secondo contrario. Il pluralismo di idee all’interno della sinistra è la miglior riprova di quanto sosteniamo da tempo e cioè che questa non è una riforma che può essere incasellata nelle categorie dell’appartenenza partitica, ma che va valutata semplicemente sul piano delle garanzie. Dunque, anche nella sinistra, come del resto in ogni altro schieramento politico, vi sono diverse sensibilità per il garantismo e questo è un dato certamente positivo che va sottolineato.
Luciano Violante è preoccupato per la creazione della “casta dei pubblici ministeri”, così allineandosi all’argomento principale del fronte del no. La sua riflessione presenta però anche un elemento di novità fondato sulla comparazione: in ogni altro Paese in cui vige la separazione e un processo di ispirazione accusatoria l’azione penale è discrezionale e i pm sono sottoposti all’Esecutivo. Il pm separato e indipendente sarebbe un’anomalia tutta italiana destinata a durare poco, al punto che Violante pronostica due possibili esiti: o si introduce il controllo politico sui pm oppure si riforma la riforma.
La conclusione è palesemente errata e svela il difetto di tutto il ragionamento. I due possibili esiti non sono alternativi, ma finiscono per sovrapporsi. Se si volesse sottoporre il pm all’Esecutivo bisognerebbe cancellare la riforma appena approvata e scriverne un’altra di segno opposto.
Quello che certamente non sfugge a Violante, ma che viene intenzionalmente nascosto da tutto il fronte del no, è che la riforma introduce, per la prima volta, una precisa garanzia costituzionale di indipendenza del pm, garanzia che fino ad oggi non era così precisamente costituzionalizzata. Il nuovo art. 104 Cost. afferma, senza alcuna ambiguità, che «la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente».
A fronte di questa perentoria asserzione, che assicura una precisa guarentigia di indipendenza anche al pm, al quale non è più riservata la sola previsione “estensiva” dell’art. 107 comma 4 Cost., il “processo alle intenzioni” appare del tutto fuori luogo, a meno che non si voglia inquinare la discussione accreditando per verità fattuali quelle che in realtà sono semplicemente illazioni senza fondamento, provenienti da una parte direttamente interessata dalla modifica del suo stato giuridico.
Non è buon metodo quello di giudicare i contenuti della riforma astraendo dal nuovo testo e facendo riferimento alla presunta e recondita volontà del legislatore storico, peraltro da attuarsi in totale difformità dai nuovi assetti costituzionali. Sarebbe davvero stravagante, ai limiti della pura follia politica, se l’attuale maggioranza, appoggiata da una parte della minoranza, volesse perseguire il controllo della magistratura inquirente, rafforzandone l’indipendenza. Sarebbe come dire che, una volta approvata la separazione delle carriere, bisognerà portare a termine il callido disegno egemonico attraverso una nuova riforma costituzionale che abroghi l’art. 104 Cost. appena novellato.
Siamo ben oltre un’ipotesi del tutto irrealistica, si accreditano come dati oggettivi quelli che sono, a ben vedere, solo presagi di sventura che i novelli aruspici traggono dalle viscere del presunto retropensiero legislativo. Non si può condurre l’analisi del testo costituzionale con la tecnica dell’extispicio. La riforma è chiara e i cittadini hanno il diritto di essere correttamente informati: si prevede un pm indipendente e separato dal giudice, piaccia o non piaccia ai cultori del sospetto occultato dalla presunta incoerenza del modello.
L’indipendenza, del resto, è il comune denominatore dell’intera riforma: non solo un pm indipendente dal potere politico, ma anche un giudice indipendente dal pm e una magistratura, nel suo insieme, indipendente dalle lobby delle correnti.
Lo spettro del controllo politico sulla magistratura, il kraken incarnato dal pubblico ministero superpoliziotto, è solo una fallacia retorica che consiste nel distrarre l'interlocutore da un punto chiave, introducendo un argomento falso e irrilevante.
L’inconfessabile ragione dell’avversione ideologica alla riforma risiede altrove e va individuata in una questione di potere autoreferenziale che certamente, se fosse dichiarata, non troverebbe l’appoggio popolare: il rifiuto del sorteggio per i componenti togati dei futuri Csm e dell’Alta Corte disciplinare. Il sorteggio, però, è la risposta al quadro “sconcertante e inaccettabile” denunciato dal Presidente Mattarella all’indomani dello scandalo Palamara. Solo un magistrato libero da vincoli di corrente, infatti, potrà decidere in scienza e coscienza chi siano i migliori colleghi da nominare agli incarichi direttivi.
Il sorteggio è il rimedio estremo a un male estremo che ha “prodotto conseguenze gravemente negative per il prestigio e per l’autorevolezza non soltanto di questo Consiglio ma anche per il prestigio e l’autorevolezza dell’intero ordine giudiziario; la cui credibilità e la cui capacità di riscuotere fiducia sono indispensabili al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica”, citando ancora le parole Capo dello Stato.
Queste sono le macerie lasciate dalla perversione del correntismo politico della magistratura, che non vanno mai dimenticate, e su di esse bisogna edificare un nuovo organo di governo autonomo che sia libero da ogni condizionamento e che faccia dei Csm, come dell’Alta Corte, organi tecnici e non più politici nel senso deteriore del termine. La nuova architettura costituzionale sottende precise scelte di valore in favore dell’indipendenza della magistratura.
Chi si oppone al sorteggio dovrà prima o poi rispondere a una semplice domanda: perché un qualunque magistrato, una volta sorteggiato, non sarebbe in grado di ricoprire il ruolo di consigliere del Csm e di decidere le carriere e le promozioni dei colleghi, quando tutti i giorni, nelle aule di giustizia, assume decisioni ben più rilevanti sulla libertà, sui beni e sulla vita di qualunque cittadino? Il Csm, come detto, è un organo tecnico- amministrativo, non una terza camera politica, e le decisioni da assumere al suo interno non sono più rilevanti o più complesse o comunque diverse da quelle che un magistrato affronta nel suo quotidiano lavoro.
Delle due l’una: o si ha il coraggio di dire che il magistrato di prima nomina di un remoto ufficio giudiziario non è in grado di incidere sulla vita professionale dei colleghi, e allora non dovrebbe nemmeno poter decidere della vita dei cittadini, oppure bisogna avere l’onestà intellettuale di rivendicare un ruolo politico per un Csm di eletti, proprio quello che ha portato al caso Palamara.


