Sarebbe bello se domani, in occasione del lutto cittadino a Roma per la morte dell’operaio edile Octay Stroici, gli studenti liceali e delle Università decidessero una giornata di sospensione delle lezioni ordinarie.

Un’occupazione virtuale. Per riflettere, e per aiutare tutti noi, oltre alla rituale vicinanza alla famiglia, a dire ad alta voce che non si può stare in cantiere a 66 anni. Che quando un lavoro è usurante, stressante e soprattutto pericoloso, l’età della pensione andrebbe rimodulata e trattata con attenzione e delicatezza. E anche, al di fuori delle polemiche su coloro “che arrivano con il barcone”, che spesso il lavoratore che viene da lontano, come il rumeno Octay Stroici, ha alle spalle esperienze di fatica e sfruttamento che non risultano su nessun libretto di lavoro.

La collaboratrice familiare sudamericana, chiamiamola Milagros, che vuol dire madonna, che nel proprio Paese è andata ad arare i campi a 12 anni, è stressata ben prima di quello che ha stabilito la ministra Elsa Fornero, ma anche di quello che auspica il vicepremier Matteo Salvini. Semplicemente, a un certo punto non ce la fa più. E le tabelle ministeriali dovrebbero saper tener conto anche di lei.

Non è un caso che al lavoratore morto dopo 11 ore in cui era sepolto vivo tra le macerie della Torre dei Conti, si sia fermato il cuore. A Octay Stoici si è spezzato il cuore. Il dolore per la vanificazione di una speranza diversa, un uomo di 66 che si era sposato quattro anni fa e che sognava l’imminente pensione al mare, tutto è stato troppo, mentre doveva ancora dare colpi di martello nel cantiere. E poi, restare attaccato alla vita, con i polmoni pieni del fumo dei due crolli e le macerie addosso per un’intera giornata. Mentre fuori da lui e dal suo corpo prigioniero era in attesa la moglie da poco sua sposa, con il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il ministro della cultura Alessandro Giuli.

E il pensiero di tutti alla salvezza dell’uomo e anche al fallimento improvviso di quel programma chiamato “Caput mundi”, nome un po’ roboante e pretenzioso. Quello con cui il Pnrr avrebbe dovuto finanziare, tra le altre, questa importante opera di ristrutturazione e valorizzazione di uno dei più importanti monumenti medievali della città. E che per ora è andato in fumo, perché la Torre dei Conti è sotto sequestro e messa in sicurezza, a disposizione dell’autorità giudiziaria e con la collaborazione istituzionale della Sovrintendenza, il ministero della Cultura e il comando dei vigili del fuoco, i cui uomini, sempre eroici, hanno a loro volta rischiato la vita.

Naturalmente la procura di Roma è già al lavoro con i suoi consulenti ingegneri, e il sindaco con molta sensibilità ha deciso di rivestire a lutto l’intera città. Anche le Frecce tricolori hanno dato il loro tributo a questa povera vittima, rinunciando alla propria esibizione nella giornata di ieri e alla ricorrenza del 4 novembre. Ma ci rimangono in gola le solite domande. Esistono gli “incidenti” sul lavoro? E i cantieri sicuri? E i crolli dovuti a “disgrazia”?

Inutile snocciolare statistiche, sappiamo bene quanto poco di casuale ci sia in ogni accadimento di questo genere. Fin dal lontanissimo 1963, quando un masso staccato dal monte Toc, in luogo di confine tra il Veneto e il Friuli, produsse i duemila morti di Longarone, Erto e Casso. Il disastro del Vajont è stato il tipico “caso esemplare di disastro evitabile”. Ogni volta pare sia così. Domande e domande, inchieste nel nulla, fino al caso successivo.

Pare persino un segnale il fatto che Octay Stroici sia morto di crepacuore. E anche che l’ambasciata russa in Italia si permetta lo sberleffo sul finanziamento alle armi in Ucraina. Sarebbe bello se, per restare in tema anche della pace, soprattutto quei giovani democratici sempre pronti a correre in piazza e a bloccare le lezioni scolastiche per i palestinesi, lo facessero anche per questo lavoratore morto lontano dal suo Paese, la Romania, che gli darà l’ultimo saluto.