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È morto Frank Caprio, il giudice di origini italiane di Providence, Rhode Island, diventato una celebrità mondiale grazie ai suoi video virali, oltre un miliardo e mezzo di visualizzazioni nel corso degli anni.
Con stile affabile Caprio ha offerto un’immagine quasi sovversiva della giustizia americana: non più la macchina impersonale e classista che con ferocia divora i suoi figli ma un volto umano, fatto di ascolto e buon senso che considera i contesti e le attenuanti.
I suoi processi – piccoli casi di multe, violazioni stradali, infrazioni minori, dispute tra cittadini – erano diventati una sorta di teatro civile, trasmesso dalla trasmissione Caught in Providence e poi rilanciati con fortuna sui social. Vediamo una madre in lacrime per un parcheggio vietato, un immigrato che spiega di non poter pagare la sanzione perché senza lavoro, un ragazzo trovato sull’autobus senza biglietto, una donna finita in tribunale per aver insultato un poliziotto, un padre che non è riuscito a versare l’assegno di mantenimento: Caprio non si limitava a sentenziare, ma entrava nella vita di ciascuno, chiedeva della famiglia, del lavoro, ascoltava i racconti degli imputati con interesse, a volte li interrompeva con ironia per allentare la tensione e spesso “perdonava” con fare bonario.
Ma senza il paternalismo appiccicoso (o religioso) di alcuni giudici che si credono il padreterno.
Il confronto con la giustizia incarnata dal presidente Donald Trump è addirittura sanguinoso: lo spettacolo delle deportazioni illegali dei migranti, le famiglie separate al confine, gli arresti di massa, il feeling per la pena di morte, i processi mediatici per gli oppositori ci offrono il volto ringhioso di un sistema in cui la legge è uno strumento di vendetta e di affermazione del potere politico. Due mondi separati, uno costruito sull’umanità e sull’equità e, purtroppo, in via di estinzione, l’altro, del tutto trionfante, sulla polarizzazione e la rappresaglia.