L’intenzione di Alfredo Cospito, l’anarchico attualmente detenuto presso il carcere di Opera a Milano e sottoposto al regime previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, espressa ai magistrati del Tribunale di Sorveglianza di voler continuare lo sciopero della fame che si protrae da diversi mesi e soprattutto il manifestato rifiuto dell’eventuale alimentazione forzata altro non sono che l’esercizio del diritto che gli attribuisce la legge 219 del 2017, che prevede la disciplina su “Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento”.

Con la entrata in vigore di quest’ultima, l’idratazione e l’alimentazione artificiale sono state annoverate nella categoria dei trattamenti sanitari e come tali sono legittimamente rifiutabili.

Tutto ciò è declinazione del principio già riconosciuto dalla nostra Carta costituzionale, sin dal 1948, all’articolo 32 secondo il quale nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito senza il consenso del paziente, perfino se dovesse portare alla morte. Nessuna volontà esterna, fosse pure quella dell’intera comunità di una Nazione o dei suoi rappresentanti democraticamente eletti, può sostituirsi nelle scelte sulla propria salute, anche se unanimemente condivise. Tutto ciò contribuisce ad evitare la formazione di quelle che il Professore Rodotà, nel suo libro Il diritto di avere diritti, chiamava le “non persone”, ossia quella categoria su cui sarebbero gli altri a decidere cosa sia meglio fare, in ragione del proprio sentire e della propria convinzione.

Ciò non può non valere anche per chi, come Cospito, è sottoposto al regime carcerario “duro”, quindi sotto la “protezione” dello Stato che deve, sì e sempre, assicurare le cure necessarie al benessere del detenuto/paziente ma che non può invadere la sua sfera di libera scelta. Inoltre, non vi sono ragioni affinché ad un individuo in queste condizioni si impedisca, eventualmente, di redigere le disposizioni anticipate di trattamento previste dall’articolo 4 comma 1 della legge sul cosiddetto testamento biologico (la 219 del 217) per cui «ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le Dat, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata “fiduciario”, che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie».

È proprio in questo senso che devono essere intese anche le dichiarazioni manifestate finora ai medici con cui egli ha possibilità di colloquiare perché parti del rapporto terapeutico in cui deve formarsi il consenso informato del paziente. Per quanto parte della pubblica opinione ed alcuni commentatori televisivi considerino i detenuti sottoposti al regime del 41 bis soggetti (nemmeno persone) dei quali non aver riguardo perché mafiosi o terroristi, l’auspicio è che lo Stato, in tutte le sue articolazioni, non perda quel senso di civiltà che deve caratterizzarlo.

La linea della fermezza da più parti invocata al cospetto della violenza non deve trasformarsi in quella tortura che verrebbe a realizzarsi con l’imposizione di quel trattamento sanitario (perché tale è la alimentazione forzata) nel timore delle drammatiche e inevitabili conseguenze della volontà liberamente espressa da Cospito.