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IMAGOECONOMICA
Stavolta siamo al punto di rottura. Questo giornale non è mai stato tiepido con la magistratura, mai si è lasciato sedurre dall’illusione che l’azione giudiziaria fosse un dogma intoccabile. Abbiamo sempre osservato con occhio critico, spesso con durezza, le incursioni delle Procure nel dibattito politico, le loro istruttorie trasformate in programmi di governo.
Abbiamo visto pubblici ministeri discettare di geopolitica, di sovranità popolare, di morale pubblica, mentre le loro sentenze si traducevano in azioni di governo-ombra. Ma questa volta l’attacco dell’Esecutivo, a partire dalla premier Giorgia Meloni, contro la Corte di Cassazione è qualcosa che va oltre i confini della corretta dialettica democratica. Si tratta di una scorreria istituzionale al limite del tollerabile.
Il peccato della Cassazione? Aver decretato un risarcimento ai migranti della nave Diciotti, un verdetto giurisdizionale che, evidentemente, ha suscitato stizza in chi preferisce le sentenze accomodanti, quelle che non disturbano l’elettorato e non creano fastidi alla narrazione di governo. Non ci meravigliamo delle intemperanze di Salvini, il Trump de ’noantri sempre pronto a cavalcare ogni vento per racimolare qualche voto.
Ci stupiscono invece molto le parole della premier Meloni. La sua strategia è chiara: suggerire che una sentenza sfavorevole sia sempre un’aggressione politica. Questa visione asfittica della giustizia è però assai pericolosa. Quando un Esecutivo si permette di contestare la legittimità delle decisioni giudiziarie in modo così scomposto, il confine tra potere e “abuso” si fa sottile.
È bene che ciascuno torni nei propri limiti. Perché la presidente della Cassazione, Margherita Cassano, esempio di equilibrio e rispetto istituzionale, quei confini non li ha mai superati. Se invece lo Stato, nella sua massima espressione di governo, sceglie di abbattere i muri che separano i poteri, allora la deriva è già in atto. E non ci si illuda: non sarà priva di conseguenze.