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Ci sono i morti, a migliaia. E c’è il sangue e la carne di donne, uomini, bambini palestinesi che vivono da mesi sotto le bombe. Sono loro le prime vittime del pogrom del 7 ottobre e della reazione feroce del governo guidato da Netanyahu. Eppure sotto la cenere e tra le nebbie della polvere da sparo emerge sempre più evidente il profilo di un’altra vittima: è la stessa Israele, la sua democrazia, la sua storia.
Guidata da un leader che non ha più nulla da perdere, Israele è sempre più sola, incapace di spiegare al mondo la sua guerra. E intanto la sua democrazia vacilla, l’ultima trovata è quella di bloccare la visione di Al Jazeera sul proprio territorio. Intendiamoci, la libertà di Al Jazeera è limitata ai voleri di Tamim Al Thani, l’Emiro del Qatar, un monarca assoluto che fa e disfa governi, giornali e diritti a suo libero piacimento. Ma Israele non è il Qatar e quella legge dal retrogusto putiniano è un attacco alla libertà di espressione che oggi colpisce Al Jazeera ma che domani potrà colpire qualsiasi altra emittente sgradita al governo.
E mentre Israele si accanisce su Gaza, in Europa cresce un pericolosissimo e mai sopito sentimento antisemita. Le università di mezzo mondo zittiscono qualsiasi voce non allineata alla posizione pro-Palestina. Ne sa qualcosa il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, cacciato dall'Università Federico II di Napoli perché accusato di sionismo. Ma dietro quella censura c’è altro, c’è di più, c’è un non detto che fa venire i brividi. Accusare Repubblica di sionismo è del tutto improponibile. Di più: è ridicolo. La verità, l’indicibile, è che Molinari, agli occhi di qualcuno che confonde sionismo e semitismo, ha ben altra colpa: Molinari è ebreo.
Insomma, gli effetti della guerra di Netanyahu colpiscono il cuore stesso dell’occidente. Fa vacillare anche le nostre libertà, la nostra idea di democrazia, di libertà di espressione. Per questo chi ama Israele, chi ama la sua storia, deve alzare la sua voce per fermare l’”inutile strage” di Gaza.