È molto preoccupato Nello Rossi, Direttore della Rivista di Magistratura democratica, su Il Dubbio (che riprende un più ampio contributo sulla menzionata rivista), per le conseguenze che potrebbe avere in Italia l’introduzione di un sistema presidenziale, semipresidenziale o di premierato. Ed è, giustamente, preoccupato che una soluzione la quale modifichi la forma di governo potrebbe avere riflessi sul meccanismo dei pesi e contrappesi dell’intero sistema.

Sin qui direi, non c’è la notizia. Il costituzionalismo ha il proprio codice genetico esattamente in questa consapevolezza: il potere, anche quando non è assoluto, come nell’Ancien Régime, è fatto di rapporti di forza in cui ciascun titolare tende ad abusarne. Ed è proprio per questo motivo che nasce il costituzionalismo: creare gli anticorpi equilibrando i rapporti di forza tra i poteri. Lo scriveva Montesquieu più di duecento anni fa, aggiungendo che persino “la virtù ha bisogno di limiti”. Per il costituzionalismo, insomma, non ci sono cavalieri senza macchia e senza paura; tutti sono sotto l’impero del diritto, anche quando sono virtuosi o agiscono con le migliori intenzioni.

Ci sono invece due notizie che mancano nell’argomentato e, per molti versi condivisibile, articolo di Rossi. La prima: segnalare che riformare comporti rischi non può risolversi nel rinunziare alle riforme se queste sono necessarie, ma semmai nel considerare i rischi e predisporre gli anticorpi. E dunque una proposta (soprattutto quando proviene dall’esperienza di democrazie ben più antiche e consolidate della nostra) non può essere criticata solo perché il cambiamento è foriero di rischi (quale cambiamento non lo è?).

La vera critica, se fondata, sarebbe quella che dimostrasse che i rischi non sono adeguatamente compensati da check and balances. Il che è difficile da dirsi nel nostro caso, perché non ci sono ancora né testi e né proposte da valutare. La seconda notizia che manca nell’articolo di Rossi è che l’equilibrio nel rapporto tra sistema giudiziario e sistema politico oggi esistente secondo le norme della Costituzione italiana vigente non è l’unico possibile o comunque il migliore. Rossi parte dal presupposto che lo sia e ripropone, mi pare, una versione elegante e sofisticata del noto argomento della “Costituzione più bella del mondo”.

Argomento che però prova troppo, anche in questo caso. Innanzitutto perché noi non sappiamo cosa i costituenti avrebbero fatto oggi, in un contesto epocale lontano anni luce da quello del 1946. Forse, chissà, avrebbero dato retta a Calamandrei, che in Assemblea costituente si spese apertamente per il presidenzialismo. E a quanto pare non era il solo a pensarla così. Meuccio Ruini ne La Costituzione della Repubblica italiana (1966) precisava che sull’idea, da lui condivisa, dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica ”in colloquio consentivano De Gasperi, Piccioni, Saragat, Calamandrei e altri del governo e della costituente”, pur convenendo “vi erano tuttavia in membri dell’Assemblea dubbi e incertezze”.

Ma soprattutto se fosse vero quanto ritiene Rossi, e cioè che il rapporto tra magistratura e politica è nella nostra Costituzione costruito in base a un equilibrio millimetrico e perfetto, così che, modificando un tassello tutto il sistema cadrebbe, egli dovrebbe diventare il massimo sostenitore della reintroduzione dell’autorizzazione a procedere per i parlamentari, abrogata nel 1993. Tassello che certamente contribuiva, per i costituenti, a evitare il doppio rischio di abusi reciproci tra magistratura e democrazia.

Rossi aggiunge un ulteriore argomento contro il presidenzialismo: sottrarrebbe necessariamente al Presidente della Repubblica la Presidenza del Consiglio superiore della magistratura. Ciò finirebbe per rompere l’equilibrio di quell’organo, a danno della politica. Ricostruendo, il dibattito costituente, Rossi opina che la presidenza del CSM al Capo dello Stato sarebbe stata la “compensazione” per la riduzione della rappresentanza laica nello stesso consiglio a seguito dell’approvazione dell’ordine del giorno Scalfaro che riduceva appunto la presenza dei membri di nomina politica dalla metà a un terzo del collegio.

Insomma Rossi si preoccupa che il presidenzialismo finirebbe per accentuare la chiusura oligarchica della magistratura, ormai privata del “contrappeso” della presidenza del Csm del Capo dello Stato. Anche questo argomento, certamente suggestivo, prova troppo. Perché, si potrebbe replicare, c’è anche un altro modo per ovviare al rischio paventato. Basterebbe tornare al progetto originario di Costituzione, stabilire una composizione paritaria tra laici e togati nel CSM e abrogare l’emendamento Scalfaro, che peraltro fu votato dall’Assemblea costituente con una maggioranza molto risicata.

Altro si potrebbe dire, ma forse non è necessario. Ci sembra sufficiente condividere con l’illustre esponente di Magistratura democratica l’unica vera notizia: quando si fanno le riforme, soprattutto se sono riforme che cambiano qualcosa e non sono solo un maquillage gattopardesco per salvarsi la coscienza… quando si fanno le riforme, dicevo… bisogna farle bene, con equilibrio, in modo che l’eventuale presidenzialismo, semipresidenzialismo o premierato (ognuno ovviamente è libero di preferire ciò che vuole) rimangano nel solco della tradizione del costituzionalismo, come accade in tante democrazie avanzate. Grazie. Duly noted.