Sul magistrato di sorveglianza
Riccardo De Vito, per il solo fatto di essere stato intercettato mentre parlava al telefono con un’ avvocata, controllata con un trojan perché indagata,
il Consiglio superiore della magistratura ha aperto un procedimento disciplinare e lo ha trasferito d’urgenza al tribunale di Nuoro come giudice civile. Si ritiene che il contenuto della telefonata sia sconveniente. Nessuna rilevanza penale nella conversazione, quindi, ma sembra che questo intervento del Csm sia legato a un discorso morale. Eppure parliamo di un magistrato di sorveglianza, dal 2016 presidente di
Magistratura Democratica, riconosciuto dagli addetti ai lavori per la sua serietà e scrupolosità nell’adottare i provvedimenti nel rispetto della legge e soprattutto facendo valere i principi fondamentali della Costituzione italiana.
Chi è Riccardo De Vito
De Vito, classe 1973, è un magistrato che svolge anche un lavoro intellettuale non indifferente. Ha contribuito soprattutto
nel dibattito relativo all’ergastolo, il fine pena mai. Tema divisivo soprattutto all’interno della magistratura, ma che trova – tranne casi eccezionali, anche se di peso perché massmediatici – uniti tutti i togati progressisti e liberali. Non solo ergastolo, ma anche il tema del diritto alla salute nelle carceri, la detenzione come
extrema ratio e tutte quelle leggi che rendono vana la funzionalità della pena. Temi che il magistrato De Vito affronta nelle riviste specializzate e nei convegni. Lo stesso De Vito, da militante di Md, non ha mai nascosto il suo disagio rispetto alla sinistra italiana che, di fatto, ha snobbato la questione carceraria fino a promuovere tesi che un tempo appartenevano al patrimonio delle destre.
Ma pensare che sia un magistrato di sorveglianza che conceda benefici ai detenuti a prescindere si sbaglia di grosso. Molto spesso con i suoi provvedimenti ha respinto le richieste dei difensori, anche – trapela da L’unione Sarda – del legale della telefonata incriminata. Eppure, lui è stato uno dei protagonisti della magistratura di sorveglianza messa sotto accusa per aver concesso detenzioni domiciliari per motivi di salute a diversi detenuti dell'alta sicurezza e tre del 41bis.
Riccardo De Vito e il caso Zagaria
De Vito finì nell’occhio del ciclone per aver concesso, da giudice del tribunale di sorveglianza di Sassari, la detenzione domiciliare a
Pasquale Zagaria, fratello del capoclan Michele. Poiché tutti i penitenziari della Sardegna erano stati trasformati in strutture
Covid, De Vito aveva chiesto al Dap di individuare una sede alternativa dove Pasquale Zagaria potesse curare la patologia tumorale di cui era affetto. Zagaria, scrisse De Vito nell'ordinanza, avendo un tumore, avrebbe dovuto sottoporsi al previsto «follow-up diagnostico e terapeutico». Al carcere di Bancali, però, a causa dell'emergenza sanitaria in atto, tali operazioni non sarebbero state garantite. Ma non solo:
la patologia di Zagaria era tra quelle «che lo espone maggiormente al rischio di infezione». Il giudice nel suo provvedimento aveva sottolineato poi di avere inviato una richiesta al Dap per capire «se fosse possibile individuare un'altra struttura penitenziaria dove effettuare il "follow-up"», ma non è pervenuta nessuna risposta, neppure interlocutoria. Un addetto della cancelleria del Tribunale di
Sassari, si scoprì a posteriori, aveva sbagliato l'indirizzo mail del Dap e, pertanto, la comunicazione non era mai arrivata a destinazione. Di conseguenza l'amministrazione penitenziaria non aveva potuto rispondere e De Vito aveva dunque disposto la scarcerazione.
Polemiche feroci contro De Vito
Ad aprile del 2020 Zagaria aveva lasciato il carcere di Bancali ed era stato trasferito a Pontevico, vicino Brescia dove era stato programmato il piano terapeutico Per tale detenzione domiciliare era stata individuata l'abitazione di un familiare. Le polemiche per tale scarcerazione –
nonostante l’impeccabile ordinanza emessa dal giudice De Vito - furono feroci: oltre ad una accesa campagna mediatica, numerose erano state le interrogazioni parlamentari che avevamo messo in pericolo la poltrona dello stesso Guardasigilli
Alfonso Bonafede. A quel punto, venne varato il famoso “decreto antiscarcerazione”. Rientrarono quasi tutti in carcere, compreso Zagaria, e alcuni poi moriranno. Uno dei tre detenuti al 41 bis, rientrati in carcere a seguito del decreto Bonafede, come si legge oggi su Il Dubbio, è morto. Parliamo di
Vincenzino Iannazzo. Il magistrato Riccardo De Vito, nel caso di Zagaria (tra l’altro scarcerato per fine pena a marzo scorso),
ha agito nel profondo rispetto del suo mandato istituzionale, ovvero tutelare dignità e umanità della pena in un'ottica di bilanciamento con le esigenze di sicurezza pubblica. Ora, per la famigerata telefonata, sta subendo un procedimento disciplinare. Si ha la percezione, si spera errata, che ci sia una attenzione particolare per tutti quei magistrati non allineati a un concetto fortemente reazionario della pena.