Alla fine Vincenzino Iannazzo è morto. Era detenuto al 41 bis nonostante il suo gravissimo stato di salute accertato in diverse sedi. Parliamo di uno dei tre detenuti al carcere duro fatti rientrare in carcere, strappandolo dalla detenzione domiciliare concessa per motivi umanitari ai tempi dell’imperversare della pandemia.

Rientrò in carcere dopo il decreto "antiscarcerazioni"

Il suo rientro in carcere è dovuto al cosiddetto decreto “antiscarcerazioni” emanato dall’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede a causa delle pressioni dei mass media, come il programma Non è L’Arena di Massimo Giletti e un articolo de L’Espresso a firma di Lirio Abbate, che avevano creato un caso inesistente. Ricordiamo che Iannazzo non è stato l’unico detenuto morto una volta fatto rientrare in carcere. Mentre avvenivano i pestaggi, documentati su questo giornale, i mass media erano concentrati a cavalcare la polemica della concessione della detenzione domiciliare per gravi motivi di salute, tanto che l’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, appunto, in fretta e furia con un decreto ha fatto rientrare tutti i detenuti incompatibili con il carcere. Alcuni di loro, al rientro sono morti.

Era incompatibile con il regime carcerario, ma è rimasto al 41 bis

Ma Iannazzo è un caso ancor più particolare. Il Dubbio ha seguito la sua via crucis, partendo dalle mosse dei familiari con le continue istanze puntualmente rigettate, l’attivismo dell’associazione Yairaiha Onlus e la relazione del responsabile sanitario del carcere di Parma dove c’è scritto nero su bianco che non riescono ad assisterlo adeguatamente. Il carcere, soprattutto quello duro, è risultato, sulla carta, incompatibile. Ma nonostante ciò vi è rimasto. Non solo aveva gravi patologie che poi si sono rivelate purtroppo fatali, ma al 41 bis è stato lasciato a sé stesso disorientato nel tempo e nello spazio a causa della sua demenza. E pensare che la stessa Corte d’Appello di Catanzaro, a seguito di perizia del Ctu, dichiarò che Iannazzo era compatibile al regime carcerario esclusivamente in una struttura di medicina protetta come il Belcolle di Viterbo e non già con il regime detentivo ordinario. Quindi figuriamoci il 41 bis. Lo stesso perito del giudice che l’ha visitato ha segnalato che l’uomo è «scarsamente curato nella persona e nell’abbigliamento». Ha annotato che l’attitudine generale è dimessa. La mimica è molto contenuta. La memoria recente appariva deficitaria. Ma il giudice, nonostante ciò, aveva rigettato l’istanza per il differimento pena.

Aveva ottenuto la detenzione domiciliare per l'emergenza Covid-19

Ricordiamo che Vincenzino Iannazzo era andato ai domiciliari nel periodo di aprile/maggio del 2020, causa emergenza Covid-19 perché, in quanto trapiantato renale, per lui il virus sarebbe potuto essere fatale. Già nel breve frangente in cui è rimasto a casa, i familiari si erano accorti che non era più in lui avendo dei comportamenti strani: non riconosceva sua moglie, parlava con la televisione, non riusciva a usare correttamente i sanitari. Poi arrivano le polemiche e viene fatto rientrare al carcere di Viterbo, da lì trasferito a quello di Parma. Gli era stato assegnato unicamente un piantone con assistenza in cella per la pulizia della stessa. Il medico responsabile sanitario del centro clinico all’interno del super carcere parmense aveva lanciato l’allarme: segnalò la criticità che persiste al centro, denunciando la difficoltà oggettiva nell’assistere h24 quei detenuti che richiedono tale assistenza.

Il rientro in carcere di Vincenzino Iannazzo è diretta conseguenza del populismo penale

Nell’ennesima segnalazione dell’associazione Yairaiha Onlus al ministero e al Dap, si legge: «Qual è il senso del regime detentivo?». Venerdì scorso arriva la notizia ufficiale. Una morte, in realtà, annunciata: Iannazzo muore in ospedale, sempre in regime di 41 bis. «La morte di Iannazzo – denuncia l’associazione Yairaiha - era già scritta nella sua patologia. Non era scritto, e non doveva essere scritto, invece, che venisse abbandonato a se stesso in regime di 41 bis, nonostante le gravissime condizioni di salute da più parti certificate e ampiamente documentate. Abbiamo lottato al fianco dei familiari per più di un anno. Un anno di rinvii e rimpalli di competenze da un ufficio all'altro per evitare che Vincenzino Iannazzo venisse trattato da uomo gravemente malato quale era, irreversibilmente terminale».

La battaglia dell'associazione Yairaiha Onlus

Prosegue l’associazione: «Giudici, periti e funzionari hanno fatto a gara per trovare il cavillo che gli permettesse di tenere in carcere un uomo che, evidentemente, non poteva e non doveva più starci. Ma i medici che lo hanno avuto in cura sono stati chiari: “compatibile con il carcere a patto che venga assistito 24 h su 24 e in regime ordinario”, scrivevano a Viterbo; “il SAI di Parma non è in grado di garantire le cure intensive di cui necessita né al sig. Iannazzo né agli oltre 200 detenuti anziani e gravemente ammalati disseminati nelle varie sezioni”, è stato scritto, nero su bianco, dal dirigente sanitario del carcere di Parma». Aggiunge Yairaiha Onlus: «L'isolamento forzato era uno degli elementi assolutamente negativi e accelerante il processo degenerativo. Le sue condizioni, oltre che documentate, erano evidenti. Una lenta agonia, nell'isolamento del 41 bis, priva di qualsiasi cura e soprattutto senza alcun conforto affettivo. Mesi e mesi senza la possibilità di vedere i familiari a causa del lockdown e quando li ha rivisti non li riconosceva più. Iannazzo è stato "ricoverato" in ospedale lo scorso settembre, dopo la nostra ennesima (la settima) segnalazione alle autorità competenti e a qualche parlamentare (con la speranza che si facessero carico della sua situazione) ma ormai era tardi! Tardi per qualsiasi terapia che gli potesse alleviare le sofferenze e restituire la dignità; tardi per avere riconosciuta la sua condizione irreversibile di uomo ammalato». Conclude amaramente Yairaiha: «Iannazzo è spirato così: sorvegliato a vista in un'ala isolata dell'ospedale di Parma dove non passa quasi nessuno, nonostante fosse ormai incapace di intendere, di volere e di interagire con chiunque. Gli è stato impedito di ricevere un ultimo abbraccio dalla moglie e dai figli. Giustizia è fatta? È questa la Giustizia? Sarà, ma ha il volto della tortura. Il nostro abbraccio ideale va alla signora Grazia e ai figli, Giovanni e Alessandro che fino all'ultimo hanno creduto nella Giustizia. È la giustizia che non ha creduto in loro». Il tragico caso, però, potrebbe non finire qui. Ci sono tutti gli estremi per una denuncia, visto le continue segnalazioni del suo stato di salute incompatibile con il 41 bis. È stato legittimo applicargli questo regime concepito per uno scopo ben preciso, ovvero quello di evitare che un boss possa dare ordine all'esterno e al proprio gruppo criminale di appartenenza? Una persona in simili condizioni psico fisiche, con allucinazioni, può davvero essere un pericolo tanto da giustificare il regime duro? Basta un'altra pronuncia della Corte Europea come fu con Provenzano e il 41 bis “rischia” di essere smantellato. La colpa sarà da ricercare in questo ennesimo abuso che ha portato alla morte e da chi reclama ancora più restrizioni.