Il crollo del tetto della Casa circondariale romana nel primo pomeriggio del 9 ottobre ha scatenato una reazione a catena che la garante della Sardegna per i diritti dei detenuti, Irene Testa, non ha esitato a qualificare come “scelta politica” più che come gestione dell'emergenza. In una comunicazione trasmessa la scorsa settimana al Procuratore generale di Cagliari, Luigi Patronaggio, Irene Testa delinea un quadro che va ben oltre il contingente: non è questione di capienza, sostiene implicitamente, ma di come è stata gestita l'urgenza. Centotré detenuti, trasferiti da Regina Coeli verso quattro istituti penitenziari sardi ( 26 ad Alghero, 20 a Uta, 31 a Oristano- Massama, 26 a Sassari- Bancali) in orari notturni, con tempi di preavviso minimi - secondo alcune testimonianze raccolte: venti minuti - e senza alcuna comunicazione preventiva alle famiglie dei ristretti. È questo il punto di partenza della denuncia della Garante.

IL METODO: CIABATTE E SACCHI DI PLASTICA

Ma il dato che emerge dalla narrazione è la modalità operativa di quella che viene descritta come una “procedura emergenziale”. Prima della partenza dall'istituto romano, distribuiti sacchi di plastica ai detenuti con l'invito di raccogliervi gli effetti personali. Alcuni trasferiti sono stati imbarcati su un aereo della Guardia di Finanza indossando ciabatte e accappatoio, arrivando nelle strutture sarde vestiti così. Non è un dettaglio retorico: è lo specchio di una gestione che non ha previsto nemmeno le minime dotazioni organizzative per una operazione di questa portata.

Le strutture sarde, inoltre, non avevano ricevuto informazioni anticipate sulla “tipologia” di detenuti che avrebbero dovuto ospitare. Durante la notte successiva all'arrivo, è stato il personale penitenziario delle isole a improvvisarsi negli spazi: recuperare celle, reperire lenzuola, coperte, contattare le famiglie nel buio più totale. Una gestione interamente reattiva, mai preventiva.

Qui emerge lo scenario di fondo. La Casa di reclusione di Alghero, alla data della visita della garante (12 ottobre), ospitava 168 detenuti con una capienza regolamentare inferiore e soli 70 agenti della Polizia penitenziaria. Quell'istituto, per la sua vocazione a “trattamento intensificato”, aveva storicamente ospitato circa 80 detenuti, permettendo di coniugare il lavoro e lo studio all'interno delle mura. L'immissione di altri 26 corpi negli spazi comporta, non è difficile intuirlo, un sovvertimento dell'assetto interno con rischi diretti sulla sicurezza. Sassari era già al 120% di riempimento prima dell'arrivo dei nuovi trasferiti, con una “cronica carenza di personale penitenziario” nelle aree medico- sanitarie e nei ranghi della Polizia.

LA CONTRADDIZIONE NORMATIVA

Ciò che più acutamente Irene Testa mette a nudo è la contraddizione tra ciò che è avvenuto e le direttive della stessa amministrazione penitenziaria. La nota della GDAP del 13 ottobre (numero 435332. U) inviata ai Provveditori regionali e ai Direttori - documento che dunque arriva dopo i fatti già citati - recita con chiarezza: «Il trasferimento rappresenta una delle fasi più sensibili della vita detentiva. Se mal gestito, non risolve i problemi ma li sposta altrove, aggravando il senso di sradicamento del detenuto e creando ostilità nella sede di destinazione. Ogni trasferimento deve essere comunicato con congruo anticipo alla nuova sede, garantendo la contestuale consegna del bagaglio e delle spettanze economiche».

Le modalità, prosegue il documento ufficiale, devono rispettare «i principi di progressività e trasparenza: ogni percezione di arbitrio alimenta rancore e conflittualità, con inevitabili ricadute sulla sicurezza interna». Questo è il grimaldello su cui Testa costruisce la sua contestazione. Le procedure attuate per i 103 detenuti di Regina Coeli sembrano configurarsi come l'esatto contrario di quanto l'amministrazione stessa prescrive. Non è dato sapere se i trasferimenti siano definitivi o temporanei, se vi sia una data di scadenza, se sia previsto un potenziamento degli organici.

Testa solleva il problema senza fornire risposte, ma puntando il dito: l'emergenza non può giustificare violazioni dei diritti fondamentali dei detenuti. Per questo ha trasmesso gli atti al Procuratore generale, chiedendo di «approfondire la regolarità delle procedure di trasferimento attuate dall'amministrazione penitenziaria». È la logica della garanzia: verificare, cioè, se il diritto sia stato rispettato anche quando il caos epidermico della situazione potrebbe suggerire una tolleranza maggiore. Non lo è, sostiene la garante. E il Procuratore, ricevuta la comunicazione, avrà questo compito, ovvero valutare se le procedure abbiano configurato una violazione, sfruttando la contingenza come alibi procedurale.