«Apprendo di un trasferimento di 8 persone dal cpr di Macomer all’Albania dalla mattina alla sera senza preavviso e senza avere notizie di queste persone. Prima incarcerati senza aver commesso reati e poi tradotti in un altro carcere senza che nessuno possa sapere niente delle loro condizioni. Sono esseri umani, non pacchi postali». Con queste parole la garante delle persone private della libertà della Regione Sardegna, Irene Testa, ha denunciato la sparizione di otto trattenuti dal Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Macomer, trasferiti in segreto al CPR di Gjadër, in Albania.

Testa ha inoltre spiegato a Il Dubbio di aver chiesto alla Prefettura spiegazioni sui motivi del trasferimento e sui criteri con cui sono state individuate le otto persone destinatarie del provvedimento, sulle destinazioni effettive delle traduzioni, sull’eventuale arrivo dei trattenuti e sulle loro condizioni di salute. La garante attende ora risposte formali dal Prefetto, che possano fare luce sul destino di queste persone.

Dietro questa rete di trasferimenti c’è il decreto-legge 28 marzo 2025, n. 37, approvato dal Consiglio dei Ministri per potenziare le strutture realizzate in Albania e rendere possibile il trasferimento non solo di chi viene soccorso in mare, ma anche di migranti già trattenuti nei CPR italiani e destinatari di provvedimenti di espulsione. Il CPR di Gjadër è composto da tre unità: un hotspot per l’identificazione ( 880 posti), un mini- carceretto ( 20 posti) e il centro di permanenza per il rimpatrio vero e proprio ( 144 posti).

Eppure la struttura, costata oltre 600 milioni di euro tra costruzione e gestione, è rimasta per mesi un gigantesco cantiere in parte inutilizzabile. Secondo un’inchiesta di Altreconomia, al momento della consegna parziale, nell’ottobre 2024, gran parte degli edifici non era accessibile e mancavano letti e infrastrutture minime; l’avvio è stato definito ' in via d’urgenza', senza spiegare il perché della fretta, lasciando in piedi cantieri aperti e criticità non sanate.

La conversione dei centri albanesi in CPR ha sollevato scetticismo anche tra gli alleati europei. Nonostante il governo Meloni continua a riattivarli, i giudici italiani hanno più volte bloccato i trasferimenti, richiamando una sentenza della Corte di Giustizia Europea che impone di considerare sicuro un Paese solo se l’intero suo territorio è privo di pericoli per i diritti fondamentali. Così Gjadër ha visto transitare poche decine di persone, puntualmente riportate in Italia dopo interventi giudiziari.

L’ultima tragedia porta un nome: Hamid Badoui, quarantenne di origini marocchine, residente a Torino da quindici anni, con permesso di soggiorno scaduto. Dopo la scarcerazione dal Lorusso Cutugno, Badoui era stato trattenuto prima a Bari e poi, per un mese, nel CPR di Gjadër; il tribunale di Roma ha dichiarato illegittima quella detenzione, ma il destino di Hamid è stato segnato da un nuovo arresto al suo rientro in Piemonte. Meno di 24 ore dopo l’ennesima detenzione, si è tolto la vita per insopprimibile stanchezza di vedersi confinato.

L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) ha duramente criticato il governo: «Hamid Badoui ha posto fine alla sua vita durante l’ultima detenzione e non è difficile immaginare l’insopprimibile stanchezza di vedersi ancora una volta confinato e senza possibilità di via d’uscita.

Corpi trattenuti in CPR o nelle carceri, poca è la differenza; corpi deportati fuori dal territorio nazionale come prova di forza anche se concretamente inutile…», ASGI denuncia l’uso propagandistico dei corpi dei migranti, in palese conflitto con la Costituzione e i trattati internazionali.

A metà aprile, la delegazione del Tavolo Asilo e Immigrazione ha concluso una prima missione in Albania per un monitoraggio indipendente del nuovo CPR di Gjadër, annunciando l’intenzione di dare continuità all’osservazione. Nella prima settimana di operatività, insieme a parlamentari italiani ed europei, la delegazione ha incontrato le autorità locali, effettuato accessi ai luoghi di detenzione e raccolto testimonianze dirette.

I rilievi esposti dall’ASGI declinano due livelli di criticità. Da un lato, il modello stesso – trasferire coattivamente persone già trattenute in Italia in un CPR fuori dai confini nazionali – rappresenta una forzatura delle norme europee e costituzionali, calpestando diritti alla difesa, all’asilo, all’unità familiare e alla libertà personale. Dall’altro, l’applicazione pratica appare profondamente problematica: gli atti di autolesionismo tra i trattenuti, le difficoltà di accesso all’assistenza legale, l’assenza di una comunicazione preventiva e modalità di trasporto degradanti – mani legate con fascette durante il tragitto – sono segnali di un sistema lacerato.

A rendere ancora più fragile il quadro, poche ore dopo il primo sbarco, una delle persone trasferite è rientrata in Italia perché l’autorità giudiziaria ne ha revocato il trattenimento per mancanza di legittimità.

Resta un nodo drammatico: le 40 persone selezionate per Gjadër sono state scelte apparentemente sulla base della “pericolosità sociale”, un concetto privo di riscontri legali chiari. Se realmente usato come criterio punitivo, significherebbe configurare una pena aggiuntiva, vietata dal nostro ordinamento.

Accanto alle azioni legali, il Tavolo Asilo e Immigrazione chiede una mobilitazione trasversale per la dismissione del Protocollo italo- albanese, che aggrava il già fallimentare sistema di detenzione amministrativa e viola i principi fondamentali di democrazia e diritto.

In un Paese dove la gestione dell’immigrazione si trasforma in un gigantesco meccanismo di contenimento, Gjadër resta il simbolo di un fallimento politico e umano. Le promesse di efficienza si infrangono sugli scogli della giustizia europea, mentre i diritti fondamentali si prosciugano nei corridoi delle strutture extraterritoriali.