In queste giornate di stasi parlamentare si continua comunque a parlare di temi legati alla giustizia. In particolare della custodia cautelare. È di ieri, ad esempio, la polemica sollevata dal Fatto Quotidiano con l’articolo dal titolo “Governo pro colletti bianchi: manette (ancora) più difficili”. A finire del mirino l’abrogazione, giusto un anno fa, del reato di abuso di ufficio, l’introduzione dell’interrogatorio preventivo come rafforzamento delle prerogative della difesa, il gip collegiale per decidere delle misure cautelari, che dovrebbe entrare in funzione dal 2026. In particolare poi il giornale diretto da Marco Travaglio ha puntato il dito contro il vice ministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto e il deputato di Forza Italia Enrico Costa. Le loro colpe? Proporre iniziative per ridurre la carcerazione preventiva che banalmente significa una cosa sola: essere in carcere in attesa di una sentenza definitiva.

Il primo, in una intervista al Sussidiario di tre giorni fa, ha detto: «Lavoriamo a una rilettura più certificata della custodia cautelare: il 15- 20% dei detenuti è in questa condizione, una categoria molto ampia. Se riuscissimo a ridurre anche quest’ultima percentuale, potremmo garantire ai detenuti spazi più dignitosi». Siamo andati a prendere i numeri nel dettaglio: secondo le statistiche del ministero della Giustizia, al 31 luglio 9021 reclusi sono in attesa di primo giudizio, 5877 i condannati non definitivi ( appellanti, ricorrenti). Quindi su 62569 ristretti, 14898 detenuti, pari al 23,81 per cento del totale, stanno vivendo una condizione di privazione della libertà seppur presunti innocenti.

Per mettere un freno al presunto abuso di tale strumento è in corso un dibattito parlamentare e lo stesso Carlo Nordio ha istituito a Via Arenula nel 2023 la commissione Mura per la riforma del processo penale che dovrà occuparsi anche di questa questione. I lavori sono in corso. Il tema è un vecchio pallino del Guardasigilli che – ricordiamo - prima di prendere in mano le redini del Dicastero era stato presidente del comitato del Sì ai referendum “giustiziagiusta”, promossi da Lega e Partito radicale, che puntavano, tra l’altro, a contrastare proprio l’abuso della custodia cautelare in carcere. Lo stesso Nordio in Aula ha più volte ripetuto che «il principio costituzionale della presunzione di innocenza, principio fondativo del processo accusatorio,

deve valere, a maggior ragione, in via anticipata per la fase cautelare». È evidente, infatti, come tutte le esigenze cautelari pongono un problema di compatibilità con la presunzione d’innocenza, e quella che appare in più stridente contrasto con essa è proprio il rischio di reiterazione del reato. Per questo il governo, e tra i partiti di maggioranza Forza Italia in primis, sta lavorando per rivedere la normativa vigente. I fronti su cui si stanno svolgendo valutazioni e approfondimenti sono due: valutazione dello status di incensurato per garantire una maggiore attenzione nel comminare il carcere preventivo a chi non si è mai macchiato di un reato e abolizione della custodia cautelare in presenza del requisito della reiterazione del reato. «L’abuso della custodia cautelare, in carcere e ai domiciliari, è sotto gli occhi di tutti – ci dice Enrico Costa -. Una misura molto spesso non necessaria, posta in essere per accendere i riflettori su una inchiesta. Due sono gli interventi da mettere in campo: sicuramente uno processuale, sull’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato, su cui oggi si fondano prognosi impalpabili, generiche e fumose». L’altro – aggiunge il parlamentare della commissione Giustizia di Montecitorio - sulla responsabilità di chi priva ingiustamente della libertà una persona. Subire un arresto ingiusto è un marchio indelebile nella vita di una persona. Sulla carriera di chi ha arrestato ingiustamente non solo non resta un marchio indelebile, ma neanche un asterisco nel fascicolo personale».

Sempre tra gli azzurri era stato anche Tommaso Calderone a sollecitare una riforma del codice di rito in tal senso, in particolare prospettando una rivalutazione dopo 60 giorni del carcere preventivo da parte del giudice in particolari condizioni. Insomma la volontà c’è tutta da parte della maggioranza, bisogna solo sperare che il primario raggiungimento della vittoria al referendum sulla separazione delle carriere non freni l’accelerazione su queste modifiche.