L’Ufficio per l’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiesto all’avvocata Giovanna Beatrice Araniti un aggiornamento puntuale sul caso di Giuseppe Morabito: lo storico boss ’ ndranghetista che è tuttora al 41 bis nonostante la condanna di Strasburgo e il peggioramento del suo stato di salute. La richiesta formale - e la risposta immediata della difesa, che ha trasmesso una relazione dettagliata con sedici documenti allegati - segnano l’innesco di un controllo europeo che potrebbe portare l’Italia davanti al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per omissione di ottemperanza.

Come è noto la Corte Edu ha ritenuto che il rinnovo del 41 bis nei confronti dell’ultranovantenne Morabito, affetto da grave decadimento cognitivo, abbia configurato un trattamento incompatibile con l’articolo 3 della Convenzione. Nonostante la sentenza sia divenuta irrevocabile ( perché il governo non ha chiesto il rinvio alla Grande Camera entro i termini), il regime differenziato è rimasto in vigore. La difesa ha quindi sollevato la questione dell’omessa esecuzione e ha chiesto che il caso venga portato all’attenzione del Comitato dei Ministri e pubblicato sul sito del Dipartimento per l’esecuzione delle sentenze.

Dal dossier trasmesso dallo studio Araniti emerge una sequenza di atti giudiziari e amministrativi che descrive un’Italia in difficoltà tra obblighi internazionali e resistenze interne. Dopo la sentenza di Strasburgo, la difesa ha inviato due diffide formali al ministro della Giustizia ( 14 aprile 2025 e 22 luglio 2025) chiedendo l’immediata ottemperanza: nessuna risposta è pervenuta. In parallelo, la via giudiziaria interna ha mutato la scena.

Il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva confermato la proroga del 41- bis fondandosi, tra l’altro, su brevi lucidità osservate nei colloqui e sull’idea di una “posizione apicale” ancora mantenuta; la difesa ha impugnato e la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, con rinvio per un nuovo esame. Il giudizio di rinvio fissato davanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma.

Nel frattempo, altri procedimenti - compreso il rifiuto della detenzione domiciliare da parte del Tribunale di Milano - sono stati impugnati. Il quadro processuale, dunque, resta aperto, ma la pressione internazionale aumenta: la sentenza Cedu copre i fatti fino al 24 maggio 2023 ed è stato accertato il trattamento inumano, visto che il 41 bis si protrae nonostante il grave decadimento cognitivo del detenuto.

La relazione difensiva non si limita a raccogliere atti: ricostruisce il quadro clinico valutato da più perizie. La consulenza del dottor Cirillo ( 2024, con integrazione del gennaio 2025) parla di “declino cognitivo moderatamente grave” e conclude che la capacità di intendere e di volere è “notevolmente ridotta se non azzerata”, con necessità di assistenza continua. Altri accertamenti - tra cui perizie disposte nei procedimenti a Milano - convergono sulla diagnosi di demenza senile in evoluzione.

La difesa contesta la scelta dei giudici che hanno dato rilievo a brevi frasi pronunciate dal detenuto nei colloqui con i familiari, interpretandole come prova di lucidità sufficiente a giustificare il 41- bis. L’argomento della difesa è netto: la capacità di articolare

singole frasi non vale come prova di capacità di dirigere o impartire ordini criminali. Ancora più significativo, durante il periodo tra giugno e novembre 2023, quando il regime era temporaneamente sospeso per ragioni di salute, non si sono registrati segnali che potessero indicare una ripresa dell’attività criminale. Per la Cassazione questo episodio di sei mesi senza condotte pericolose è un indice probatorio da prendere sul serio.

La relazione insiste su un punto essenziale: la sentenza Cedu non è una raccomandazione di poco conto. Secondo la difesa, e secondo orientamenti consolidati della Corte Costituzionale e della Cassazione richiamati nel dossier, la decisione europea impone uno sforzo concreto di adeguamento dell’ordinamento interno. Se la norma interna conduce a un trattamento incompatibile con la Convenzione, i giudici nazionali hanno l’obbligo di disapplicarla o di motivare in termini convincenti la diversa scelta. In presenza di un decadimento cognitivo documentato e reiteratamente confermato, la proroga meccanica del 41 bis perde la sua giustificazione.

Ora la palla passa anche al livello europeo: il Dipartimento per l'esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo ha chiesto e ottenuto informazioni aggiornate. Se il Comitato dei Ministri constaterà inadempienza, l’Italia può ricevere richiami formali, osservazioni pubbliche ed essere condannata al risarcimento e al pagamento di interessi di mora. La procedura di supervisione può quindi trasformarsi da semplice nota di biasimo in pressione politica concreta.

Perché il ministro della Giustizia non ha risposto alle diffide formali del legale? Per quale ragione non ha dato seguito immediato a una sentenza europea irrevocabile? La magistratura di merito saprà tradurre le indicazioni della Cassazione in una decisione coerente con la Convenzione? E, sul piano politico, il governo accetterà che una procedura europea si trasformi in un dossier contro la mancata esecuzione di una sentenza dello stesso Consiglio d’Europa?

Nel frattempo, Giuseppe Morabito continua a scontare la sua pena in un regime che la stessa Corte europea a ha giudicato incompatibile con la persona. Una vicenda che interroga non solo il nostro sistema penitenziario, ma la stessa capacità dello Stato di rispettare i propri obblighi internazionali e i principi fondamentali dello stato di diritto. La risposta arriverà tra i corridoi del Tribunale di Sorveglianza, nelle stanze del Ministero e nelle sedute del Comitato dei Ministri. Fino ad allora, resterà aperto il sospetto che la perseveranza nel 41 bis, di fronte a una demenza accertata, consista più in un’abitudine istituzionale che in una scelta sorretta da motivazioni solide per il quale, questo regime speciale, è stato concepito.