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I dati allarmanti sui suicidi in carcere, 26 in meno di tre mesi, ora scuotono anche la Tv. A rompere il silenzio, sul piccolo schermo, è Luciana Littizzetto, la quale nella puntata di ieri di Che Tempo che fa, il programma di Fabio Fazio sul Nove, ha indirizzato la sua consueta “letterina” al guardasigilli Carlo Nordio. Al quale ha rivolto un appello sulle tragiche condizioni dei nostri istituti penitenziari, nei quali si registra un tasso di sovraffollamento del 128%. «Non ho una soluzione, ma so che qualcosa si può e si deve fare», dice Littizzetto. Ecco il testo integrale della lettera.
Caro Nordio,
Nordio come il Polo Nordio.
Caro Carlo,
Fratello d’Italia, devoto Ministro della Repubblica italiana, uomo di spessore, bel tocco di toga, né rossa né nera, diciamo toga melange. Tu che siedi dietro una scrivania che è riuscita a passare da Togliatti a Bonafede senza cadere in depressione. Tu che devi dividerti tra Meloni e Salvini, fra la Presidenta de Noartri e il barbaro col mojito, hai tutta la mia solidarietà umana.
Tu, che ho letto nel sito ufficiale del ministero della Giustizia, hai due gatti rossi: Rufus e Romeo Leonetto, come posso voler male a un uomo che chiama un gatto Romeo Leonetto. E quindi con tutta la delicatezza che posso, questa sera vorrei parlarti di carcere. Il tema più impopolare che ci sia in questo paese. Se ti proponessi, ministro, facciamo un bel dibattito sull'uso delle nacchere nella musica calabrese, riempiremmo i palasport e invece, solo a sentire la parola carcere il cervello della gente si affloscia.
Questa settimana, purtroppo, un altro ragazzo si è tolto la vita: sono già 26 i suicidi nei primi 72 giorni di questo 2024, uno ogni tre giorni, dati più alti di sempre. Ma in carcere non muoiono soltanto i detenuti, ma anche i dipendenti del corpo di polizia penitenziaria. Dall'inizio dell'anno sono tre. Perché non si muore solo in carcere, si muore anche di carcere. Ma di questo pare che non gliene freghi una beata toga a nessuno.
Caro Nordio,
ti scrivo perché sento che questa è una vera e propria crisi umanitaria. Non ho una soluzione, ma so che qualcosa si può e si deve fare. In carcere ci vanno i cattivi, quelli che hanno sbagliato, quelli che hanno fatto del male e che devono pagare per fare giustizia alle vittime della loro prepotenza e della loro violenza. Giusto così. Tutti noi vogliamo tornare a casa tranquilli e non vivere come dentro i Guerrieri della notte.
Però non basta stipare le mele marce e poi dimenticarsene. Ce ne siamo già dimenticati prima, di loro, e forse per questo sono finiti così. Un detenuto è un problema di tutta la società, non solo di quelli che in carcere ci lavorano.
E non mi dica che sono una buonista. Al contrario sono egoista, perché un ambiente carcerario senza dignità, affollato, con 10mila detenuti in più rispetto ai posti letto, con direttori che cambiano di continuo, con una carenza di personale qualificato, senza prospettive, senza possibilità di reinserimento, non crea più sicurezza, anzi crea più insicurezza per tutti.
Chiediamo ai detenuti di cambiare, ma cosa abbiamo fatto noi in questi anni per cambiare il sistema carcerario? Vogliamo riabilitare le persone e poi non muoviamo un dito. Siamo degli ipocriti. Bisogna metterli dentro e buttare la chiave, sento dire da ministri del governo. A parte che se butti la chiave poi la tua riunione di famiglia come la fai?
Ma poi la prigione non è un pozzo dove buttare le chiavi. Al contrario, è un posto dove costruire chiavi per permettere a quante più persone possibili di uscire e trovare altre strade. L’articolo 27 della nostra Costituzione dice che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Se rinunciamo alla speranza che le persone possano cambiare, rinunciamo al futuro e questo è molto triste. Ho letto che la recidiva di quelli usciti dal carcere è quasi del 70%, il che dimostra quanto sia inutile il nostro attuale sistema. Chi esce di galera prima o poi finisce per tornarci. Ma il tasso di recidiva crolla al 2% per chi in carcere ha imparato un lavoro. Se la prigione ti offre una possibilità di cambiare, quindi, sei salvo. Lavoro, Nordio, non abbandono, ozio, annientamento e morte. Se n’era già accorto bene Don Gallo molti decenni fa, lui che di carcerati ne frequentava tanti. Sarebbe stato bello vedere la fiction su di lui, peccato che la Rai l’abbia cancellata.
Ti saluto Nordio e scusa se ti do del tu, ma vorrei sentirti più vicino, so che ti trovi davanti un compito immane. Rendere moderne e umane le nostre carceri.
Aiutaci a ricordare che chi va in galera ha sbagliato, ma non è sbagliato, come dice Don Gino Rigoldi: possiamo sempre ricominciare. Se siamo vivi, aggiungo io.
Con immutata stima,
sempre tua, incensurata Lucianina.