Federica Sanchez, ricercatrice in neuroscienze applicate all’architettura presso la società Lombardini 22, ha studiato a fondo gli effetti nefasti che gli spazi detti 'estremi' hanno sulla nostra psiche, quanto la prigionia e l’isolamento modifichino le funzioni del nostro cervello, i nostri comportamenti, la nostra stessa identità. E il carcere, nella nostra società, è lo spazio estremo per eccellenza.

“Articolo 27” è un podcast del Dubbio in tre episodi scritto da Francesca Spasiano, Rocco Vazzana e Daniele Zaccaria. A cura di Nicola Campagnani, montaggio e musiche di Riccardo Anzalone.

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Come funziona il vostro lavoro?

«Siamo impegnati, sia nella ricerca teorica che nell’applicazione sperimentale, sugli effetti dello spazio nelle persone, è dimostrato scientificamente che vivere in luoghi estremi varia la funzionalità e l’anatomia del cervello umano. Parliamo di ambiente estremo quando una o più caratteristiche spaziali vengono fortemente ripetute, esasperate o ridotte, mi riferisco alla luce o alla mancanza di luce, alla profondità visiva disponibile, i colori, le forme, la prossemica, la distanza del corpo dalle pareti. Sono stati condotti diversi studi sulle conseguenze neurofisiologiche e psicologiche subite dai membri di spedizioni nello spazio, in Antartide e nelle attività di esplorazione sotterranea, allo stesso modo esistono evidenze sugli effetti della prigione. L’ambiente architettonico e quello sociale sono aspetti fondamentali per il benessere mentale delle persone, nell’universo carcerario la salute viene danneggiata per diverse ragioni: l’allontanamento della persona dalla società, la mancanza di scopi e significato della vita, le condizioni spaziali estreme come il sovraffollamento, l’isolamento, l’esposizione alla violenza.

Gli effetti tendono a sparire quando si ritorna in libertà?

Al contrario perdurano. È stato teorizzato dai ricercatori che la reclusione può provocare la cosiddetta post incarceration syndrome, una sindrome simile al Ptsd, ovvero il disturbo da stress post traumatico, infatti anche dopo aver scontato la loro pena molti ex detenuti continuano a subire gli effetti negativi della detenzione.

Cosa cambia concretamente nel nostro cervello in un ambiente naturalmente “ostile” come il carcere?

Dal punto di vista neuroscientifico è stato dimostrato come l’esperienza prolungata dell’isolamento può modificare la struttura anatomica e le funzionalità del cervello. Uno dei casi più noti è quello di Robert King, un ex detenuto statunitense che ha trascorso 29 anni in un cella di isolamento. Una volta uscito di prigione King ha accusato la perdita delle proprie capacità di orientamento spaziale e di coscienza del proprio posizionamento tridimensionale nello spazio. Il caso ha interessato la neuroscienziata Huda Akil la quale ha ipotizzato che l’isolamento protratto abbia innescato modifiche anatomiche nel cervello di King, in particolare nella zona dell’ippocampo che è un’area fondamentale per la memoria, per il riconoscimento spaziale. La mancanza di relazioni sociali può trasformare l’anatomia del cervello e ridurre la massa di alcune regioni critiche per il pensiero e il controllo delle emozioni e alterare la connettività tra amigdala e lobi frontali a cui si associa un aumento dei disturbi del comportamento. 

Quanto possono diventare gravi queste patologie?

L’assenza di luce solare, la mancanza di sincronia con il ritmo circadiano causano molti problemi di regolazione metabolica di produzione di ormoni e di regolazione delle emozioni che insieme alla condizione restrittiva del carcere può causare depressione. La depressione grave o cronica in assenza di trattamento ha un impatto profondo sul cervello a livello anatomico, si genera così un circolo vizioso: ci si sente male il nostro corpo produce stress, lo stress danneggia il cervello e questo di nuovo ci fa sentire male.

Le conseguenze negative della reclusione valgono anche per il personale di custodia?

Gli agenti di polizia penitenziaria sono particolarmente colpiti da queste forme di stress, questo si manifesta attraverso la tensione psicologica, l’ansia, la preoccupazione, la paura, alcuni dei fattori a causare stress sono i rapporti con i superiori, la scarsa partecipazione alle decisioni, il contatto con detenuti aggressivi e il rischio di aggressioni. È necessario in tal senso elaborare un piano di gestione a favore della salute mentale degli abitanti delle carceri, dei detenuti e del personale di sorveglianza, progettare lo spazio per favorire il benessere anche del personale di custodia. Le componenti architettoniche che caratterizzano l’esperienza spaziale sono simili per entrambi i gruppi: l’illuminazione naturale, la qualità dell’aria e dell’acustica, la profondità delle visuali, gli aspetti cromatici, i materiali.

Avete realizzato un esperimento in un penitenziario della Lombardia tramite realtà virtuale. In cosa consiste?

Come Lombardini 22 abbiamo lavorato al progetto di riqualificazione di alcune zone di una casa circondariale in sinergia con l’architetto Cesare Bordese. Per via dei limiti del regolamento carcerario con il dipartimento di psicologia dell’Università del Sacro cuore di Milano abbiamo deciso di imbastire degli esperimenti volti a isolare le componenti architettoniche che gravano maggiormente sull’esperienza dei detenuti. Abbiamo immerso detenuti e operatori in un modello di realtà virtuale che rappresenta il carcere esistente monitorando alcuni parametri come la temperatura corporea o il battito cardiaco per evidenziare le zone di maggiore criticità. Dai risultati abbiamo poi avviato la progettazione architettonica concentrandoci sui colori, sull’organizzazione spaziale e l’arricchimento dell’esperienza sensoriale nel cortile per poi replicare l’esperimento sul nuovo modello. In questo memento siamo ancora nell’analisi dei dati. L’obiettivo è osservare un miglioramento nella percezione dinamica degli spazi.