Dopo l’aggressione a Vasile Frumuzache, il 32enne romeno reo confesso dei brutali omicidi delle connazionali Denisa Maria Adas e Ana Maria Andrei, tre agenti della polizia penitenziaria, in servizio a carcere della Dogaia di Prato, sono stati iscritti nel registro degli indagati. Le accuse, formulate dal procuratore capo Luca Tescaroli, sono pesanti: rifiuto di atti d’ufficio e lesioni colpose.

Gli agenti coinvolti, un 24enne originario di Caserta, un 40enne di Belvedere Marittimo (Cosenza) e un 45enne di Napoli, saranno ascoltati nelle prossime ore. L’episodio che ha portato all’apertura di questo filone d’inchiesta risale al 6 giugno scorso, pochi giorni dopo l’ingresso in carcere di Frumuzache. Secondo la ricostruzione della Procura, il detenuto è stato aggredito da un connazionale che gli ha versato sul volto e sugli arti un pentolino di olio bollente mescolato a zucchero, una sostanza che, sciogliendosi, aumenta l’adesività e la gravità delle ustioni.

Nonostante le precise direttive impartite dalla Procura al comandante della struttura e le rassicurazioni ricevute circa le misure di sicurezza predisposte per tutelare l’incolumità del detenuto, l'aggressione è avvenuta in modo che il procuratore definisce "del tutto incontrollato". «È un dato di fatto – ha dichiarato Tescaroli – che non si è riusciti ad assicurare il richiesto controllo e protezione nei confronti di Frumuzache, poche ore dopo il suo ingresso nel carcere pratese».

Ma l'aggressione è solo uno dei tasselli di un quadro più ampio e preoccupante. Secondo quanto riportato dalla Procura, la casa circondariale di Prato presenta «un apparente massiccio tasso di illegalità» e profonde carenze strutturali e organizzative che ne minano il funzionamento. Il sistema penitenziario locale si trova in uno stato di evidente sofferenza: le carenze di personale nei ruoli di ispettori e sovrintendenti sono rispettivamente del 47% e del 56,52%. A questo si aggiunge una cronica instabilità della dirigenza, con l’assenza di figure stabili e la difficoltà ad avere interlocutori certi all’interno della struttura.

Il carcere è inoltre segnato da una diffusa presenza di disagio mentale tra i detenuti, casi di suicidio – due solo nel secondo semestre del 2024 – e scarse opportunità lavorative e rieducative. «Tutti elementi – sottolinea Tescaroli – che inibiscono la funzione di prevenzione speciale e rieducazione della pena, minando la dignità stessa dei detenuti».

Non si tratta, però, soltanto di problemi gestionali. A contribuire a questa situazione ci sarebbe anche una clamorosa mancanza di controllo: in alcune fasce orarie, secondo la Procura, i detenuti sarebbero rimasti senza sorveglianza, in violazione dei doveri del personale. Inoltre, le attrezzature di sicurezza – come i laser scanner per il controllo della corrispondenza – sarebbero risultate non funzionanti durante le attività investigative, compromettendo l’efficacia del sistema di monitoraggio.

L’intero caso riporta sotto i riflettori le condizioni delle carceri italiane e in particolare quelle toscane. Il carcere della Dogaia, già oggetto in passato di denunce sindacali e ispezioni, sembra rappresentare una sintesi dei mali cronici del sistema penitenziario: sovraffollamento, carenza di organico, degrado strutturale e una gestione a tratti fuori controllo. La vicenda dell’aggressione a Frumuzache, pur nella sua gravità, sembra essere solo la punta dell’iceberg di un sistema che, stando alle parole della stessa magistratura, fatica a garantire legalità, sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali.