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In questa campagna d'informazione su questo sistema carcerario collassato mi domando se questa perenne emergenza doveva essere raccontata e scritta da persone detenute ( che di certo avranno delle ripercussioni) o se la stessa doveva essere affrontata ad esempio da alcuni Garanti dei diritti delle persone detenute che alle volte sono fuori le sedi di competenza del Comune di Roma.
Mi sono imbattuto nella disperazione di una persona detenuta di nome Alessandro Virno Lamberti che ricevette un rigetto come un'idrometeora ( per rimanere in tenia) e questo quasi a fine pena. Il rigetto l’ha ricevuto dal Tribunale di sorveglianza di Roma firma del dottor Luigi Miraglia ( Presidente) e dal dottor Massjmo Di Lauro ( Relatore), con questa dicitura: PERTANTO L'ISTANZA È CERTAMENTE PREMATURA E VA SERENAMENTE RIGETTATA.
Quello che fa paura a noi persone detenute è proprio questo lessico che di giuridico ha ben poco. Quel SERENAMENTE e io aggiungo VARIABILE se riferito a una persona detenuta che è disperata diventa deleterio se si pensa a come una persona detenuta è sempre ancorata a qualche speranza desiderata come ci ricordava Papa Francesco. Mi ricordo ancora I. e parole dette dal Giudice costituzionale Luca Antonini nel docu/ film a cui ho partecipato “11 Viaggio della Corte costituzionale nelle carceri”, lui affermava che la Costituzione si capisce facendola reagire sui casi e io non potevo esimermi di non indicare il caso su esteso facendo riferimento al modo di come si rigetta e sulle parole usate e se le stesse hanno qualcosa di diritto.
In questa lunga detenzione ho letto tante ordinanze ( meno) di accoglimento e ( più) di rigetto tra i toni che ho notato in questa ordinanza sono offensivi per il rispetto che viene dato alla nostra Costituzione.
Credo che viviamo in un'epoca in cui il potere sembra sfuggire al controllo dei più, mentre l'ingiustizia si insinua nei meccanismi della società con una naturalezza inquietante.
Chi dovrebbe proteggere i deboli spesso li opprime, e chi cerca la verità viene messo a tacere. In questo scenario, mi chiedo, come può un uomo restare virtuoso in un sistema che premia l'arroganza e punisce l'onestà? L'ingiustizia non è una novità, è una costante della storia umana. Ma ciò che conta davvero non è il mondo esterno, bensì la nostra risposta a esso. Il potere può corrompere, ma non ha potere sulla mia anima, se non glielo concedo, la vera sfida è restare giusti anche quando tutto intorno sembra spingere nella direzione opposta.
Spesso mi trovo a riflettere su queste ingiustizie e su come distinguere tra giustizia e vendetta. La rabbia, in certi momenti, sembra l'unica risposta possibile, ma ho imparato che la rabbia è un fuoco che brucia prima chi la ospita.
La giustizia, invece, è fredda, lucida, paziente, non nasce dall’impulso, ma dalla ragione. Mi chiedo sempre, “ciò che faccio, migliora il mondo o solo il mio orgoglio ferito? E se il potere stesso è costruito sull'ingiustizia? Se le leggi proteggono chi le scrive, e non chi le subisce?
In quei momenti, cerco di essere legge per me stesso e per le persone detenute che chiedono il mio aiuto. Non posso cambiare l'intero sistema, ma posso governare il mio piccolo regno interiore. Ogni uomo giusto è una cittadella e molte cittadelle, insieme, possono cambiare il corso della storia, non è rassegnazione, è discernimento. Non confondo la calma con la resa, combatto, ma non mi consumo, agisco, ma non mi agito. La mia forza è nella costanza, non nel clamore e poi c'è la tentazione del potere. Quando ero fuori in libertà nelle mie aziende poteva accadere di conferire per meritocrazia un posto tra coloro che dovevano decidere il miglior andamento aziendale, gli facevo capire a loro il prezzo dell'integrità, gli ricordavo che il potere non è un premio, è una prova.
Chi lo desidera troppo, spesso ne è indegno, chi lo teme, forse è il più adatto. Ma solo chi lo esercita con giustizia, senza accanimento, può davvero dire di averlo dominato. Forse è questo il vero compito del filosofo in una “Caverna”, non cambiare il mondo con la forza, ma con l'esempio. Essere giusto in un mondo ingiusto è già una forma di rivoluzione, e forse il potere più grande non è quello che si esercita sugli altri, ma quello che si conquista su di, sé. Lo Scrivano di Rebibbia, tramite questi racconti di vita carceraria, vi porterà nei meandri oscuri, dove viene amministrata una giustizia celata nel nome del Popolo italiano.