Una sentenza si può anche disegnare? Sembra un'idea bizzarra ma non lo è. Anzi, senza i disegni in questione, alcune sentenze non avrebbero alcun effetto reale. Così, la matita di Cesare Burdese, architetto esperto di edilizia penitenziaria, si muove sempre seguendo il filo di norme e determinazioni giudiziarie per trasformare il carcere in un luogo più umano. È andata così anche quando Burdese ha letto la sentenza numero 10 del 2024 della Consulta - che ha dichiarato illegittimo il divieto assoluto all’affettività (e quindi anche alla sessualità) in carcere - e si è messo subito all'opera per trasformare quel verdetto in un diritto a Padova.

“Articolo 27” è un podcast del Dubbio in tre episodi scritto da Francesca Spasiano, Rocco Vazzana e Daniele Zaccaria. A cura di Nicola Campagnani, montaggio e musiche di Riccardo Anzalone.

Ma in cosa consiste l'affettività in carcere? «Nella dimensione carceraria per affettività si intende quell'attività rivolta ai propri congiunti, alle persone care, che si realizza attraverso incontri, ma si realizza anche attraverso telefonate, si realizza attraverso scrittura», spiega l’architetto Burdese. «L'affettività, però, proprio in carcere, è anche considerata nella dimensione di un rapporto con un animale o addirittura con un vegetale, cioè la possibilità di prendersi cura di una pianta o di un animale».

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Partendo dal bisogno dell'affettività che ha l'individuo, ancorché detenuto, Burdese pensa subito alla ricaduta architettonica di ogni attività umana. Il diritto all’affettività si estende fino alla sfera della sessualità, ma riguarda anche i rapporti col proprio nucleo familiare, con i propri bambini. È questa la rivoluzione scritta nero su bianco dalla sentenza della Corte costituzionale, che riconosce il diritto all'intimità al riparo dallo sguardo indiscreto dell'agente penitenziario. Un'utopia che per diventare realtà ha però bisogno di progettazione.

«In termini generali, io sono solito leggere il documento ufficiale che può essere una sentenza ma anche una circolare del Dipartimento dell'Amministrazione che dà delle indicazioni di comportamento, di gestione, della vita detentiva», spiega ancora l’architetto Cesare Burdese. «Ne analizzo la ricaduta spaziale, perché qualsiasi attività, anche in carcere, si svolge in uno spazio fisico, in uno spazio costruito. Il mio metodo è molto semplice: se dobbiamo, nella fattispecie, consentire rapporti intimi, allora dobbiamo immaginarci i luoghi dove poter svolgere questi rapporti intimi», dice ancora Burdese, prima di passare in rassegna tutte le possibilità architettoniche realizzabili in Italia. «Noi identifichiamo sostanzialmente tre tipologie di spazi.

Abbiamo la camera con annesso servizio igienico, un luogo molto spartano: due tavolini da notte, un letto matrimoniale, un servizio igienico, niente di più. Poi abbiamo il monolocale che è un spazio un po' più articolato perché comprende una zona giorno con un angolo cottura, ancora un letto matrimoniale e un servizio igienico. Abbiamo poi il cottage: piccole costruzioni dotate di un piccolo giardino, dove possiamo rilevare una dimensione assolutamente domestica e una unità abitativa. Praticamente un piccolo alloggio addirittura dotato di una o più camere da letto».

Non una stanza, dunque, ma un appartamento con più spazi, dove è possibile trascorre del tempo con tutta la famiglia e ricreare una naturale dimensione domestica: cucinare, fare i compiti, guardare la televisione insieme, conversare, giocare. Nessun secondino, nessuna telecamera, nessun controllo all’interno. In altre parole: vita.

Anche all'interno di un'istituzione totale. Ed è proprio a questa terza tipologia di struttura, il cottage, che Burdese ha pensato per disegnare il suo progetto destinato al carcere di Padova. «La sentenza dice che i luoghi dell'affettività devono essere previsti, possibilmente all'ingresso dell'istituto, per non portare i parenti a zonzo per il carcere, troppo dentro l'area detentiva.

Allora, quando io ho incominciato a ragionare, ho pensato soprattutto alle strutture più recenti che hanno delle vaste superfici ancora inutilizzate dentro l'area di cinta», argomenta Burdese, che per Padova ha immaginato due moduli circondati da attività florovivaistiche, «così impegniamo anche il detenuto a curare le rose». «Ho chiamato il progetto “Il roseto”, perché il roseto sarà quell'elemento aggiuntivo dove il detenuto potrà curare le rose, ma nello stesso tempo, quando si incontrerà con i familiari, sarà in un ambiente gradevole e profumato».

Vogliamo l’amore ma anche le rose, si potrebbe dire parafrasando un vecchio film di Ken Loach. «Viene fuori un'opera architettonica che ha delle forti connotazioni estetiche ma anche forti valori simbolici e forti valori funzionali». Diritto all'intimità e diritto alla bellezza in un disegno solo. E ancora, diritto al lavoro: giardinieri, muratori, elettricisti, idraulici, falegnami. Tutti detenuti. Un sogno che potrebbe diventare realtà.

Il progetto definitivo del cottage verrà presentato a giorni. Nella speranza che l'umanizzazione del carcere non si areni nelle sabbie della burocrazia, dei legacci politici e delle diffidenze culturali. «La mia matita si muove per portare umanità, valori culturali risposte concrete ai bisogni», conclude Burdese. «Col roseto spero di portare in quella struttura una scintilla di umanità che potrà poi innescare altre scintille in altri carceri. È questo che noi dobbiamo fare come architetti».