Il ventisettesimo suicidio, giunto al terzo mese dell’anno, riaccende i fari sul dramma delle persone in lista d’attesa, quelle recluse illegalmente in carcere, in attesa di essere trasferite presso le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Alvaro Nunez Sanchez, un 31enne ecuadoriano detenuto dall'estate scorsa nel carcere di Torino per tentato omicidio del padre, era in attesa di essere ospitato presso le strutture. È già accaduto che un ragazzo, trattenuto illegalmente in carcere, si sia suicidato. Pensiamo al caso di Valerio Guerrieri, impiccatosi il 24 febbraio del 2018 – a soli 22 anni - nella cella di Regina Coeli.

CEDU E CONSULTA INTERVENUTE SULLE LISTE D’ATTESA

Il dramma delle persone in lista d’attesa in carcere è stato affrontato più volte anche dalla Corte Europea di Strasburgo. Come già riportato da Il Dubbio, pensiamo alla storia di Preuschoff, un ragazzo tedesco che all’epoca aveva 31 anni, di fatto trattenuto a Regina Coeli, nonostante la magistratura di sorveglianza gli avesse disposto una misura di sicurezza presso la Rems. Era un senza fissa dimora, tratto in arresto a maggio del 2019 per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni giudicate guaribili in un giorno. Ad agosto 2019, all’esito del giudizio, viene dichiarato con sentenza del Tribunale di Roma incapace di intendere e di volere al momento del fatto e, in quanto ritenuto socialmente pericoloso, gli viene applicata, in via provvisoria, la misura di sicurezza della Rems per la durata di due anni.

Senza soluzione di continuità, il Tribunale dispone, in attesa dell’individuazione di una Rems disponibile, la sua traduzione al carcere di Regina Coeli. «Il ragazzo – aveva spiegato a Il Dubbio l’avvocata Sonia Santopietro – è affetto da una grave psicosi per la quale il carcere non rappresenta un luogo adeguato ove possa ricevere le cure necessarie. Seguito anche dal dipartimento di salute mentale, alterna alti e bassi e anche la sua “collocazione” inframuraria viene determinata dall’andamento della patologia: “repartino”, sorveglianza a vista e non è mancato un ricovero presso il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura a causa di un episodio di acuzie e a seguito del quale viene riportato in carcere». Nel frattempo si fa istanza per chiedere una valutazione della pericolosità sociale, ma soprattutto per la revoca della misura di sicurezza detentiva essendo inadeguata la struttura carceraria. Arriviamo a giugno 2020 e il magistrato di sorveglianza ritiene attuale la pericolosità sociale del ragazzo. Ma sempre nell’ordinanza scrive: «Risulta che è in lista di attesa per l’individuazione della Rems dallo scorso agosto, tempo francamente lungo e assolutamente non adeguato alla gravità del disturbo che necessita di urgente trattamento psichiatrico».

Ma non solo. Ricordiamo che il ragazzo non ha nessun legame nel nostro Paese, i familiari infatti vivono in Germania. Quindi non deve essere per forza ospitato in una struttura della regione Lazio, ma anche nel nord dove i familiari lo potrebbero raggiungere più facilmente. Ma nulla. A quel punto, a settembre del 2020, l’avvocata Santopietro trasmette un ricorso alla Corte Europea dei diritti umani chiedendo l'applicazione di una misura provvisoria ai sensi dell'art. 39 del Regolamento Cedu e assumendo violati una serie di diritti (art. 2 Cedu diritto alla vita, art. 3 Cedu divieto dei trattamenti inumani e degradanti, art. 5 Cedu diritto alla libertà ed alla sicurezza personale e diritto ad un'equa riparazione ed art. 13 diritto ad un ricorso effettivo). Il governo italiano ha ammesso le violazioni contestate riconoscendo un risarcimento di 35mila euro e il 10 novembre scorso la Cedu ha concluso il caso per l’accordo raggiunto tra le parti.

NEL 2022 OLTRE 700 PERSONE ASPETTAVANO DI ESSERE COLLOCATE IN UNA REMS

Ma di casi così, ce ne sono centinaia. Secondo i dati risalenti al 2022, un numero di persone almeno pari a quelle ospitate nelle 36 Rems allo stato attive – più in particolare un numero compreso tra le circa 670 (secondo i calcoli del ministero della Salute e della Conferenza delle Regioni e della Province autonome) e le 750 persone (secondo i calcoli del ministero della Giustizia) – è in attesa di trovare una collocazione in una Rems, nella propria regione o altrove. La permanenza media in una lista d’attesa è pari a circa dieci mesi; ma in alcune Regioni i tempi per l’inserimento in una Rems possono essere assai più lunghi. Le persone che si trovano in lista d’attesa sono spesso accusate, o risultano ormai in via definitiva essere autrici, di reati assai gravi – tra gli altri, maltrattamenti in famiglia, atti persecutori, violenza sessuale, rapina, estorsione, lesioni personali e persino omicidi, tentati e consumati.

DUE LINEE DI PENSIERO SULL’UTILIZZO DELLE REMS

La Consulta, tramite la sentenza del 2022 redatta dal giudice Francesco Viganò, rivela che ci sono due linee di pensiero circa la risoluzione del problema. In sostanza da una parte c’è il ministero della Giustizia che ascrive l’esistenza di lunghe liste d’attesa principalmente all’insufficienza complessiva dei posti letto disponibili e all’assenza di soluzioni alternative sul territorio in grado di salvaguardare assieme le esigenze di salute del singolo e di sicurezza pubblica. Mentre c’è il ministero della Salute, unitamente alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che ascrive il problema a un eccesso di provvedimenti di assegnazione alle Rems da parte dell’autorità giudiziaria in conseguenza di una diffusa mancata adesione al nuovo approccio culturale sotteso alla riforma. Resta il fatto che la lista d’attesa crea un deficit di tutela dei diritti fondamentali.

Per la Consulta risulta chiaro che la soluzione non può essere quella dell’assegnazione in soprannumero delle persone in lista d’attesa alle Rems esistenti: un simile rimedio – secondo la Corte Costituzionale - finirebbe soltanto per creare una situazione di sovraffollamento di queste strutture, snaturandone la funzione e minandone in radice la funzionalità rispetto ai propri scopi terapeutico-riabilitativi. Dalla sentenza della Corte costituzionale emerge il fatto che va completata la riforma che ha superato gli ex ospedali psichiatrici giudiziari. Non a caso indica anche di potenziare delle alternative terapeutiche per la salute mentale esistenti sul territorio, in maniera tale da contenere il più possibile il ricorso dei giudici alle Rems.

LA PROPOSTA DI LEGGE CHE RICONOSCE PIENA DIGNITÀ AI MALATI DI MENTE

Però c’è da segnalare un problema: si rischia che il Parlamento opti per la soluzione più “semplice”, ovvero quella di costruire più Rems. Così si finisce come il discorso delle carceri: risolvere il sovraffollamento puntando esclusivamente sull’edilizia. Ciò è fallimentare. Come è stato sempre ribadito su queste pagine de Il Dubbio, le Rems sono state concepite per essere l’ultima soluzione. Una soluzione c’è. Ricordiamo che da qualche anno fa è stata presentata una proposta di legge a firma del deputato di + Europa Riccardo Magi, la quale prevede una riforma radicale dove l’idea centrale è quella del riconoscimento di una piena dignità al malato di mente, anche attraverso l’attribuzione della responsabilità per i propri atti. Tutto ciò, accompagnato dal superamento del doppio binario, residuo del codice fascista Rocco.