Ilaria Salis, reclusa in Ungheria, spera di uscire dal carcere di massima sicurezza in cui si trova a Budapest. «Sono caduta in un pozzo profondissimo, mi chiedo se ci sia uscita. Ma non ho dubbi su quale sia la parte giusta della storia» si legge in una lettera che Repubblica online anticipa.

L'antifascista italiana - tornando con la memoria al marzo del 2023 - racconta nel suo diario di prigionia il secondo mese nel carcere di massima sicurezza di Budapest. «È strano trascorrere lunghi mesi senza scambiare una sola parola neanche con le persone più care (nemmeno una lettera scritta a mano!), quando fino al giorno prima bastava muovere il pollice sullo schermo del telefonino per comunicare continuamente e contemporaneamente con tante persone diverse - scrive Ilaria Salis - È inusuale non ricevere nessun tipo di informazione dall'esterno, quando in ogni attimo della nostra vita siamo bombardati da notizie e messaggi provenienti da ogni parte del mondo... questa è una bolla davvero strana».

«I mesi sono lunghi e accade che la bolla si trasformi in un buco nero che ti risucchia. Prendendo in prestito una metafora che leggerò parecchi mesi dopo in un bellissimo fumetto dedicato alle mie vicende - sottolinea Salis citando Zerocalcare -, sono caduta in un pozzo profondissimo. Le pareti sono scivolose ed ogni volta che faticosamente cerco di compiere un breve passo per risalire appena un pochino, finisco sempre col precipitare più in profondità. A volte mi chiedo se questo pozzo abbia un fondo e se da qualche parte ci sia davvero un'uscita. Immagino di essere un piccolo geco, che nell'oscurità silente riesce a scalare le pareti. Già, devo scalare le pareti, ma qui purtroppo non ci sono i miei compagni di arrampicata e i legami di fiducia ben stretti sulla corda della “sicura"».

«Chiudo gli occhi e lancio lo sguardo oltre le mura di questo cieco carcere: scorgo le vicende di uomini e donne come ricambi in tessuti su arazzi che raffigurano storie più ampie - racconta ancora Salis nel suo diario - Storie di popoli, di culture, di lingue e di religioni. Storia di sistemi economici, politici e giuridici. Storie di ricchezza e di miseria, di potere, di sopraffazione e di sfruttamento. Storie di guerre e di eserciti. Storie di un mondo in cui ancora si uccidono bambini, in cui alle quarte d'Europa risuonano mitraglie che riecheggiano gli scempi del secolo scorso. Apro gli occhi e mi scorgono rannicchiata sulla grigia coperta, con lo sguardo fisso sulla porta di ferro della cella. Tutto mi appare semplice e lineare in queste vicende, come in molte altre, non può esserci alcun dubbio su quale sia la parte giusta della storia».