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IMAGOECONOMICA
Uno scioccante e inaudito episodio ha coinvolto l’Istituto penale per minorenni di Nisida: un agente scelto della Polizia penitenziaria in servizio nel carcere minorile è indagato per aver compiuto atti sessuali su un giovane detenuto. L’accusa riguarda fatti avvenuti agli inizi del mese, quando – secondo le indagini – il minore avrebbe subito avances sessuali da parte dell’agente.
La vicenda, resa nota da un comunicato del ministero della Giustizia, ha portato alla misura cautelare degli arresti domiciliari per l’agente, al termine degli accertamenti interni condotti dal Nucleo investigativo centrale ( Nic) e dal Nucleo investigativo regionale (Nir) di Napoli. Le indagini sono tuttora in corso per chiarire esattamente la dinamica dei fatti. Al termine delle attività investigative, all’agente è stato notificato un provvedimento di arresti domiciliari.
Il caso è stato trasmesso alla procura della Repubblica di Napoli, competente per la vicenda, dove il procuratore Nicola Gratteri – noto per le sue inchieste antimafia – coordinerà gli ulteriori accertamenti giudiziari. Immediatamente dopo la notizia, il capo del Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità, Antonio Sangermano, ha sottolineato la gravità del caso.
In una nota ha dichiarato di aver «trasmesso notizia di reato al procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, investendolo degli accertamenti necessari e formulando richiesta di adozione di misure rigorose», definendo la vicenda «un’ipotesi investigativa di inaudita gravità». Sangermano ha poi ribadito che il Dipartimento segue «la linea della consueta immediata denuncia per ogni notizia di reato che si palesi nel comparto di propria competenza, a prescindere da chi sia il responsabile», applicando una «tolleranza zero» verso abusi e comportamenti illeciti nelle carceri, in particolare in quelle minorili.
L’Ipm di Nisida è un carcere minorile storico, attivo fin dal 1934. Situato sull’omonima isola vulcanica davanti a Napoli, ospita ragazzi tra i 14 e i 18 anni, oltre a giovani adulti fino a 25 anni che hanno commesso reati da minorenni. La struttura è nota al grande pubblico grazie alla fiction televisiva “Mare Fuori”, ispirata alle storie dei ragazzi di Nisida. Il personale – agenti, educatori, psicologi – è formato per gestire giovani spesso con gravi disagi personali e familiari. Episodi come tentate evasioni o rivolte ( ad esempio, nel 2023 alcuni detenuti avevano appiccato un incendio in una cella) evidenziano però le criticità del sistema: sovraffollamento, carenze di risorse e tensioni interne. In questo contesto, l’accusa di abusi sessuali da parte di un operatore rappresenta una violazione particolarmente odiosa delle regole di tutela.
Il calvario delle carceri minorili
Il fenomeno dei minori reclusi è in crisi ed è monitorato da associazioni come Antigone. Il suo ultimo rapporto evidenzia che, alla fine di marzo 2025, i giovani detenuti nelle carceri minorili italiane erano 597 ( 26 delle quali ragazze). Ben 9 istituti penali per minorenni, su 17 presenti sul territorio nazionale, soffrono di sovraffollamento, una situazione inedita prima del decreto Caivano del settembre 2023, che ha ampliato la custodia cautelare per i minorenni e ridotto l’uso delle misure alternative al carcere. A Treviso si sfiora il doppio delle presenze rispetto ai posti disponibili; il Beccaria di Milano e l’Ipm di Quartucciu a Cagliari registrano un tasso di affollamento del 150%, Firenze supera il 147%, mentre Nisida si mantiene intorno al 105,3%.
Come riportato nel rapporto, nell’ultimo anno molte proteste hanno avuto luogo nei penitenziari minorili, scatenate dalle degradate condizioni di vita interna, dal sovraffollamento che costringe a dormire su materassi a terra, dall’assenza di attività interne, dalla permanenza in cella per gran parte della giornata e dalla mancanza di percorsi individualizzati di reinserimento sociale. Tra gli istituti più colpiti figurano l’Ipm milanese intitolato a Cesare Beccaria – oggi al centro di un’inchiesta per gravi violenze reiterate contro i ragazzi reclusi – e l’Ipm romano di Casal del Marmo. Le proteste non hanno ricevuto ascolto né apertura al dialogo da parte dell’istituzione, ma risposte punitive (disciplinari e penali) e ulteriori restrizioni. Molti volontari che operavano all’interno dei penitenziari minorili si sono visti ridurre gli spazi per attività ricreative e culturali con i giovani detenuti. Il nuovo reato di rivolta penitenziaria rischia ora di seppellire i ragazzi sotto anni aggiuntivi di carcere.
L’appello delle associazioni
Davanti a un simile sfacelo, non può mancare un grido di allarme. Antigone, Defence for Children Italia, Libera, Terre des Hommes e molte altre associazioni hanno unito le forze in un appello che parte da basi ben precise: i principi educativi del DPR 448/ 1988 e i diritti sanciti dalla Convenzione Onu sull’infanzia. Nel documento, si chiede di cancellare il cosiddetto “Decreto Caivano”, colpevole di aver stretto il campo delle misure alternative al carcere e alimentato il sovraffollamento: una strada che, secondo gli estensori, ha fatto naufragare ogni prospettiva di recupero. Le organizzazioni sottolineano la necessità di rafforzare il personale: non più solo un numero da bollettino, ma figure davvero formate e aggiornate, capaci di mediare conflitti e di accompagnare ogni ragazzo nel suo percorso individuale.
Da qui la proposta di introdurre, sin dal primo giorno di reclusione, un piano educativo integrato, che affianchi alla valutazione psicologica e sociale un sostegno culturale e scolastico effettivo. Nel loro appello si sottolinea inoltre l’urgenza di ripristinare la separazione netta tra carceri per adulti e istituti minorili: basta detenzioni “miste” o trasferimenti coatto in strutture inadatte ai più giovani.
La scuola non deve restare un’eccezione ma diventare il cuore pulsante della vita interna agli istituti, con insegnanti e volontari capaci di riaccendere la curiosità e la voglia di studiare. Infine, l’appello insiste sull’importanza di un controllo indipendente e costante: solo così si potrà garantire che ogni forma di abuso venga segnalata e bloccata sul nascere, che le visite familiari non restino un’eccezione e che l’isolamento disciplinare torni a essere uno strumento residuale.
Quella che emerge non è soltanto una lista di buone intenzioni, ma un vero e proprio modello alternativo: immaginare la custodia cautelare come estrema ratio, riporre al centro la rieducazione e la tutela psicofisica dei ragazzi. Perché se non si coltiva la speranza, anche il carcere minorile si trasforma in una fabbrica di disperazione, e casi come quello di Nisida restano soltanto l’ultimo, tragico segnale di un sistema che chiede a gran voce di cambiare rotta.