La morte in carcere di Stefano Dal Corso è un vero e proprio giallo. Il presunto suicidio del 43enne - trovato cadavere nel penitenziario Casa Massama di Oristano, in Sardegna, il 12 ottobre scorso - non convince la famiglia dell'uomo che si è affidata all'avvocato Armida Decina e al medico legale Cristina Cattaneo, il consulente forense che ha lavorato alla risoluzione dei delitti più conosciuti in Italia: dall'omicidio di Serena Mollicone al caso di Stefano Cucchi.

“Mio fratello è morto impiccato, mi hanno detto al telefono. Eppure lui non aveva alcun motivo di togliersi la vita, mai aveva manifestato l'intenzione di farlo e anzi aveva preso accordi per un lavoro in un ristorante appena sarebbe uscito, da lì a poco. Mi hanno mandato solo delle foto, poche e in cui tra l'altro era vestito, dalle quale si vedono segni come di presa su un braccio, uno alla testa e sugli occhi. Per ben due volte ci è stata negata la possibilità di fare l'esame autoptico, ma io chiedo che venga fatta chiarezza. Voglio capire come è morto Stefano”, dice all'Adnkronos Marisa Dal Corso, sorella del 43enne che avrebbe finito di scontare la pena il prossimo 31 dicembre. “Dovendo assistere al processo, che si sarebbe tenuto a Oristano dove aveva abitato con la ex compagna e la figlia di 7 anni, ha fatto domanda per essere presente in aula e vedere così la bimba. Glielo hanno concesso, e il 4 ottobre è stato portato a Oristano. Da dove però non ha mai più fatto rientro. Mi venne detto che non c'era modo di riportarlo a Roma, che non ci sarebbe stato un volo prima del 13. Il 12 pomeriggio, intorno alle 16, ho ricevuto la telefonata del parroco del carcere, che senza mezzi termini mi ha detto 'suo fratello ci ha lasciati'”.

La procura di Oristano, nonostante le tre istanze presentate dall'avvocato Decina, ha deciso di chiedere l'archiviazione del fascicolo aperto con ipotesi di omicidio colposo. Secondo l'ipotesi di chi ha svolto le indagini, dunque, non c'è alcun dubbio: Stefano, nato e cresciuto nel quartiere romano Tufello, si è impiccato alla grata davanti la finestra, proprio sopra il letto, in carcere. Nessuno avrebbe potuto fare nulla per evitare questa tragedia. C'è però più di un elemento che non quadra a cominciare dall'assenza di un esame autoptico sul corpo del 43enne.

Secondo il pm Armando Mammone, non c'è alcuna necessità dell'autopsia “data l'insussistenza di elementi idonei che potessero giustificare detto esame medico”. Non è dello stesso avviso il medico legale Cattaneo che ritiene invece necessario l'esame per stabilire le cause della morte di Dal Corso. Tanto più che non ci sono testimoni diretti del gesto: nessun detenuto avrebbe visto o sentito nulla nelle ore in cui, si presume, possa essere avvenuto il fatto. “Le indicazioni scientifico-forensi nazionali e internazionali sulle investigazioni delle cause di morte (tra cui il Minnesota Protocol delle Nazioni Unite) suggeriscono sempre l'effettuazione dell'esame autoptico completo soprattutto in casi di morti in custodia, senza il quale è impossibile giungere ad un giudizio affidabile”, scrive il medico legale in una comunicazione inviata al pubblico ministero.In questo caso, poi, è ancora più complicato arrivare a conclusioni senza un esame medico approfondito. Non esistono infatti nemmeno le foto del corpo di Stefano impiccato (o almeno ad avvocato e medico legale non sono mai arrivate, ndr) e quelle esistenti sono dell'uomo vestito (15 in tutto).

“Dalle poche immagini visionate si intuisce che vi è un solco al collo con margini arrossati. Questo unico elemento non può essere dirimente per una diagnosi di suicidio né di morte per impiccamento - scrive ancora la dottoressa Cattaneo -. L'autopsia giudiziaria è fondamentale in questi casi per sciogliere i nodi almeno su quanto segue: se il solco al collo sia l'esito dell'impiccamento o di un precedente strangolamento cui è seguita una simulazione di impiccamento; se il soggetto fosse vivo al momento dell'applicazione di un laccio (o altro) intorno al collo; se vi siano segni interni coerenti con l'ipotesi di asfissia meccanica per impiccamento; se vi siano segni riconducibili a colluttazioni (colpi ad esempio non sempre visibili al mero esame esterno); se siano state assunte o somministrate sostanze stupefacenti o farmaci; se vi siano tracce genetiche riconducibili all'intervento di terzi nella dinamica del decesso”.