Non può più fare il pm, anzi sì ma a Sassari. L’ex sostituto procuratore di Siracusa, Maurizio Musco, condannato in via definifiva a 18 mesi per abuso d’ufficio commesso nell’esercizio delle sue funzioni e poi indagato a Messina nell’ambito dell’inchiesta “Veleni in Procura”, ha infatti preso servizio nei giorni scorsi alla Procura sarda. Secondo i complessi meccanismi del Csm, questo è possibile nonostante il procedimento disciplinare a suo carico, che però è ancora in corso e che si era interrotto per attendere le motivazioni della sentenza di Cassazione. Dunque, per ora e in pendenza di procedimento, Musco può insediarsi nello stesso ruolo che ricopriva a Siracusa ma in diversa sede, quella dove era stato trasferito cinque anni fa dall’allora Guardasigilli Paola Severino, per incompatibilità ambientale.

Per ricostruire come sia stato possibile, è necessario partire dalla vicenda processuale. Nel marzo 2017, viene confermata in Cassazione la condanna di Musco per avere ( in concorso con il suo superiore di allora, l’ex procuratore capo Ugo Rossi) nel 2009 «violato consapevolmente il dovere di astensione» in un procedimento penale per diffamazione e dovuto ai suoi stretti rapporti di amicizia ed economici con l’avvocato Piero Amara ( indagato poi nell’inchiesta “Veleni in Procura”). In questo modo il pm ha “pilotato” lo svolgimento del processo, rallentandone la definizione e «arrecando intenzionalmente un danno ingiusto alle parti civili», due avversari politici del padre di Amara. Prima della sentenza di condanna definitiva nel procedimento, tuttavia, il pm siracusano è già stato trasferito a Sassari per incompatibilità ambientale dall’allora ministro della Giustizia Paola Severino, anche se nella pratica non prende servizio, perchè in un congedo ordinario per motivi di salute.

Successivamente, scoppia il caso dei procedimenti penali gestiti illecitamente a Siracusa da una rete di avvocati, magistrati e imprenditori, oggetto di indagine in seguito alle denunce della stampa locale, agli esposti degli stessi magistrati e alle segnalazioni dell’Ordine degli Avvocati. Così, nel 2017, un’inchiesta congiunta delle procure di Roma e Messina porta all’ar- resto di 15 professionisti, tra i quali gli avvocati Amara e Giuseppe Calafiore e l’ex pm siracusano Giancarlo Longo. Secondo questo filone d’inchiesta, i rapporti di Logo e Amara erano una sorta di «prosecuzione sottotraccia» delle relazioni che Musco aveva con lo stesso Amara e lo stesso Musco è oggetto d’indagine. Prima che l’inchiesta deflagri con gli arresti, però, Musco chiede spontaneamente al Csm ( che non ha ancora adottato una soluzione definitiva per la sua posizione, in attesa delle motivazioni di Cassazione sul procedimento del 2009 per abuso d’ufficio) di venire trasferito a Caltanissetta, nell’ufficio del giudice civile. In questo modo, si blocca il procedimento disciplinare a suo carico.

È così che oggi, anche se la condanna è divenuta definitiva, Musco - rientrato dal congedo è stato inviato di nuovo alla Procura Sassari dal Csm uscente, in attesa che si svolga il procedimento disciplinare a suo carico ( che potrebbe anche determinare la sua destituzione dal ruolo). Ecco che così si concretizza una situazione quantomeno anomala, frutto di barocchismi procedurali che, nei fatti, permettono - almeno temporaneamente - a un magistrato condannato per abuso d’ufficio di indagare altri per lo stesso reato, però in una diversa procura.

«Una notizia sconcertante», ha commentato sul punto il presidente dell’Ordine di Siracusa, Francesco Favi: «Il pensiero va a tutti gli altri pubblici funzionari che, davanti a sentenze passate in giudicato, vengono sanzionati anche con la perdita del posto di lavoro».

Ora, tuttavia, non resta che attendere l’insediamento del nuovo Csm ( e il prosieguo dell’inchiesta “Veleni in Procura”) per l’epilogo della vicenda. Fino ad allora, la cronaca dice che Musco ha appena preso possesso del suo nuovo ufficio al terzo piano del palazzo di giustizia di via Roma, a Sassari.