«Il passo in avanti è che, soprattutto nel regime transitorio fino al 2025, i termini massimi di 2 anni per l’appello e di un anno per la Cassazione inizialmente previsti sono raddoppiati per i reati “ordinari” e triplicati per i reati con l’aggravante mafiosa. E certamente un tempo maggiore per celebrare i processi di secondo e di terzo grado darà un po’ di respiro e consentirà di definirne di più, prima che scatti l’improcedibilità». Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri commenta così al Fatto Quotidiano la riforma della Giustizia. (VOTO DI FIDUCIA ALLA CAMERA)

Processi più lunghi

Secondo il magistrato «l’improcedibilità non li velocizza (i processi, ndr), anzi li moltiplica incoraggiando le impugnazioni strumentali ad allungare i tempi; si limita a “tagliare” il numero dei processi che potranno concludersi con un accertamento definitivo, vanificando le risorse umane ed economiche investite fino a quel momento, oltre a negare i legittimi desideri di giustizia di tanti cittadini. Se davvero qualcuno avesse voluto processi più rapidi, avrebbe dovuto almeno fissare un “contraltare” per bilanciare i danni ed evitare, almeno a lungo termine, lo sfacelo a cui andremo incontro».

Assumere magistrati

«Gli interventi devono essere a monte, non a valle. Non bisogna fare arrivare questa valanga di processi in secondo grado. Serve - continua Gratteri - un’imponente depenalizzazione di una serie di reati contravvenzionali, per cui è ben più adeguata una sanzione amministrativa, piuttosto che penale. Vanno potenziati e incoraggiati i riti alternativi, che invece saranno del tutto disincentivati da queste norme. Occorre un’incisiva riforma delle ipotesi di appello e di ricorso per Cassazione per evitare impugnazioni strumentali e pretestuose; un ampliamento delle ipotesi di estinzione con l’oblazione per i reati minori (come quelli edilizi di scarso impatto)». «Serve poi investire nel personale, almeno colmando le attuali carenze, ma anche una coraggiosa revisione della geografia giudiziaria». Ancora: «è illogico non prevedere espressamente una cosa che a me pare ovvia, e cioè che l’improcedibilità non operi quando i ricorsi in appello e in Cassazione vengono dichiarati inammissibili e che quindi la sentenza di condanna passi in giudicato. Assurdo. Tutte queste soluzioni eviterebbero »intasamenti«. Ma mi pare inutile continuare a ripetere l’ovvio» dice - mai come in questo caso la quasi totalità dei magistrati è assolutamente contraria a questa riforma. Per una volta sono riusciti a metterci quasi tutti d’accordo, questo merito glielo dobbiamo riconoscere».

«Cartabia? Né avvocato né magistrato…» 

Sulla competenza della ministra Cartabia risponde Gratteri: «So solo che non ha mai svolto la professione di avvocato, né quella di magistrato, ed essere giudice della Corte Costituzionale non ha nulla a che vedere con la celebrazione dei processi che facciamo tutti i giorni. Ma questo non conta: molti dei Guardasigilli degli ultimi anni non erano né avvocati, né magistrati. Tuttavia non posso che basarmi su quel che leggo e, da quel che leggo, la riforma Cartabia non porterà agli obiettivi dichiarati sulla carta. Quindi: o non si ha reale contezza della situazione, o l’obiettivo che si vuole raggiungere non è quello dichiarato».

Dai “colletti bianchi” agli evasori

Sul principio costituzionale di ragionevole durata del processo: «Un principio sacrosanto, un diritto inviolabile. Ma come si può pensare di attuarlo “tagliando” i processi? Ma lei crede che io non sarei ben più contento, da cittadino prima che da procuratore, che i processi arrivassero ad accertamento definitivo, di assoluzione o di condanna, in tempi rapidi?». Ma l’unico effetto che avrà l’improcedibilità, avverte il procuratore, «sarà di travolgere un enorme numero di sentenze di condanna, con tutto ciò che questo comporta anche sul piano general-preventivo». «I magistrati devono, perché lo impone il codice, rispettare dei termini nei processi con detenuti, che ora hanno pure una corsia prioritaria. Ma nel progetto originario, salvo quelli per stragi e omicidi, avevano la “tagliola” dopo 2 anni anche quelli. E poi gran parte dei processi di mafia sono a carico di imputati a piede libero. E così quasi tutti quelli “ordinari” ai “colletti bianchi”, agli imprenditori evasori, o per le morti sul lavoro: quelli, in base alla nuova normativa, non saranno prioritari e andranno in coda, quindi rischieranno di essere dichiarati improcedibili e le vittime di non avere giustizia».

«Bollate sia la regola non l’eccezione»

La Ministra Cartabia ha detto che occorre un «diritto penale minimo» con pene alternative al carcere. Gratteri al Fatto ha risposto: «Sicuramente, soprattutto per i tossicodipendenti - quota considerevole della popolazione carceraria - bisognerebbe realizzare più strutture terapeutiche: sono persone che vanno curate e aiutate, non rinchiuse». Secondo Gratteri, capo dell'ufficio inquirente di Catanzaro, «vanno realizzate più Rems, più comunità per chi ha problemi psichiatrici, e se si tratta di reati minori certamente vanno favorite le pene alternative. Ma al contempo è necessario costruire nuove case circondariali e assumere altro personale penitenziario. Ma attenzione: non perché la mia aspirazione sia “riempire” le carceri; ma perché da un lato i detenuti devono poter espiare la detenzione, dal primo all’ultimo giorno, in maniera dignitosa; e dall’altro il sovraffollamento carcerario non può essere ogni volta la scusa per fare venire meno la certezza della pena». «Il carcere di Bollate, che conta il minor numero di recidivi, non dev’essere l’eccezione, ma la regola. A tutti i detenuti va data la possibilità di lavorare, di imparare un mestiere, se necessario. Questo significa rieducare. Ma se non ci sono le strutture e il personale adeguato, è impossibile. In questo bisognava, e spero che almeno questo si faccia, investire parte dei fondi del Recovery per la giustizia».