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Carceri
Riceviamo da Gianni Alemanno e Fabio Falbo e pubblichiamo nel rispetto delle norme dell’Ordinamento Rebibbia, 29 luglio 2025
Permessi di necessita ignorati, scorte assenti, silenzi istituzionali, la dignità delle persone detenute e delle famiglie sacrificata sull'altare della burocrazia.
Nel carcere della Capitale, dove la giustizia dovrebbe essere più attenta e garantista, si consuma una delle più gravi ferite del sistema penitenziario italiano: la negazione sistematica dei permessi di necessità per gravi motivi familiari alle persone detenute, anche quando si tratta di dare l'ultimo saluto a un familiare in fin di vita.
Che cosa sono i “permessi di necessità”? Sono quei permessi che possono essere richiesti dalle persone detenute quando un parente stretto è in pericolo di vita, per un incidente o una grave malattia. La Cassazione ha sancito che questi permessi possono essere richiesti anche per “eventi lieti”, matrimoni e altre celebrazioni, ma il Tribunale di sorveglianza di Roma non prende neppure in considerazione questa eventualità.
Secondo i dati raccolti da fonti ufficiali e da osservatori indipendenti, nel biennio 2024- 2025 sono stati presentate istanze per oltre 2.300 permessi di necessità da parte di persone detenute in Italia. Di queste, circa il 38% è stato rigettato, spesso con motivazioni generiche come “non in pericolo di vita”, anche se subito dopo il familiare moriva.
Ancora più grave è il dato sulle mancate esecuzioni: oltre 400 permessi regolarmente concessi non sono stati eseguiti per mancanza di scorte o problemi organizzativi. In particolare, nel Lazio il 22% dei permessi autorizzati non ha avuto seguito per indisponibilità logistica, nonostante la Magistratura di Sorveglianza sia a conoscenza di queste criticità.
Un permesso di necessità per gravi motivi familiari rappresenta il rispetto di un diritto, oltre che il riconoscimento della delicatezza e dell'urgenza di una condizione umana. Nonostante ciò, questo diritto rimane troppo spesso negato, oppure viene riconosciuto con incomprensibile ritardo, con il risultato che la persona detenuta arriva a salutare il' suo congiunto quando ormai è troppo tardi ed è passato a miglior vita.
Per spiegare concretamente la situazione vi raccontiamo due casi emblematici, vergognosi per uno Stato che si definisce di diritto. Il primo caso riguarda la richiesta di un permesso di necessità inviato in data 07- 07 - 2025 dalla persona detenuta Fabio Notarangelo per una grave malattia della madre. Il magistrato di sorveglianza dottor Andrea Pastori concede il dovuto e lo rende esecutivo in data 11 - 07 - 2025, ma per problemi di mancanza di scorte la Direzione di Rebibbia ha dato esecuzione al permesso solo quando la madre era defunta da giorni e si poteva solo salutarla al funerale. Ma non è tutto: Fabio aveva maturato tutti i requisiti per accedere alla detenzione presso il domicilio già lo scorso anno, ma ancora oggi non ha ottenuto nessuna risposta dal magistrato di Sorveglianza.
Perché accenniamo anche a questa mancata risposta? Perché il papà di Fabio è un 95 enne che, ormai da settimane, non ha più una moglie che lo accudisca e vive in gravissime difficoltà. Suo figlio poteva vivere da un anno con entrambi i genitori, rimanendo vicino alla madre nel suo ultimo periodo di vita ed essere pronto ora ad accudire il padre quando questo è rimasto solo.
La cosa incredibile è che Fabio terminerà la sua pena a settembre prossimo e quindi questi diritti gli sono stati negati proprio nella fase terminale della sua espiazione, che secondo l'Ordinamento penitenziari o ( e il buon senso) è quella che deve accompagnare gradualmente la persona detenuta verso la liberti Il secondo caso, tra i tanti simili, riguarda la persona detenuta Salvatore Centro che ha fatto istanza per la concessione di un permesso di necessità per visitare la madre Maddalena Di Luggo in pericolo di vita. Ebbene il magistrato di Sorveglianza, la dottoressa Marilena Panariello, in data 19 - 05 - 2025 rigettava questa istanza con questa allucinante motivazione: “ rilevato che dalla documentazione medica depositata dal difensore (...) emerge che a Di Luggo Maddalena, affetta da carcinoma vescicale ( e non osseo, come invece dedotto dall'istante) e portatrice di protesi valvolare aortica (...) sono state erogate prestazioni infermieristiche domiciliari (...) nei giornii dal 7 al 15 maggio (...) non sussistono i presupposti richiesti dalla norma invocata, che stabilisce che il detto permesso può essere concesso in caso di imminente pericolo di vita di familiari o eccezionalmente solo in caso di eventi familiari di particolare gravità, situazioni che non ricorrono alla luce della documentazione in atti”.
Insomma veniva negato il permesso nonostante un quadro clinico devastante - come si rileva dalle stesse motivazioni del rigetto - che presentava la madre della persona detenuta come in evidente pericolo di vita. Morale di questa dolorosa circostanza dopo il rigetto? Il giorno 22 - 05 - 2025 la mamma di Salvatore Centro muore. A questo punto, un altro magistrato di Sorveglianza, la dottoressa Natalia Carrozzo, in data 23 - 05 - 2025 concede un permesso di 3 ore, al netto del viaggio, per partecipar e, con scorta, ai funerali o per visitare il cimitero. Da allora, Salvatore sta ancora aspettando non solo che questo permesso venga eseguito, ma che qualcuno gli spieghi le motivazioni di tutto questo ritardo.
Il carcere, in questi casi, non punisce solo il corpo, ma anche il cuore. Il diritto alla compassione, alla presenza, all'ultimo abbraccio viene negato da una burocrazia che si fa cieca e da un sistema che dimentica la sua funzione umana e i suoi obblighi costituzionali.