Il sovraffollamento delle strutture penitenziarie in alcuni casi supera o si avvicina al 200%; a Melfi ad esempio ci sono circa 100 detenuti per poco più di 60 posti effettivamente disponibili, stesso discorso a Campobasso, per non parlare dei grandi penitenziari ( Poggioreale, San Vittore, Le Vallette, Regina Coeli, Rebibbia) dove serve ricorrere alle centinaia e alle migliaia per descrivere il fenomeno.

Il Movimento Forense alcuni anni fa ha inteso dotarsi di un Dipartimento Carceri il quale grazie alla generosità e alla sensibilità dei suoi componenti, per lo più civilisti, è riuscito ad effettuare una serie di visite nelle carceri italiane; in particolare l’attività si è sviluppata a Torino, Milano, Rovigo, Venezia, Roma, Campobasso, Napoli, Avellino, Benevento, Aversa, Ariano Irpino, Arienzo, Santa Maria Capua Vetere, Melfi, Catanzaro, Crotone, Reggio Calabria, Termini Imerese e Castelvetrano. Queste visite, spesso eseguite unitamente ai Garanti, ai Consigli dell’Ordine, a Nessuno tocchi Caino ed alle Camere Penali, hanno comprovato il fallimento del sistema penitenziario italiano che aggrava per miliardi di euro il bilancio della Stato.

In seguito alle nostre rilevazioni sono vari gli aspetti allarmanti che abbiamo avuto modo di riscontrare.

Il Servizio Sanitario Nazionale ( di competenza regionale) all’interno delle carceri italiane è in estrema difficoltà e non riesce a dare quelle risposte che una popolazione in custodia meriterebbe ( poco più di 62.000 detenuti a fronte di circa 45.000 posti effettivamente disponibili e regolamentari), mantenendosi pur sempre in un perimetro minimo sindacale di rispetto dei diritti umani e costituzionali.

D’altronde la mancanza endemica di medici, infermieri e operatori socio sanitari si aggrava ulteriormente nei penitenziari ove, a parità di retribuzione, quei professionisti preferiscono, giustamente, non andare a lavorare.

Il discorso si aggrava oltremodo quando, rimanendo in ambito medico, si cerca all’interno di un carcere l’ausilio di uno psichiatra, in tal caso la chimera rende l’idea; il disagio e le gravi patologie psichiatriche in carcere si curano ovvero si sedano, per lo più, con una smodata prescrizione di psicofarmaci che, paragonata al normale consumo dei liberi ( 5- 6 volte superiore), palesa una situazione ormai fuori controllo. Se poi al disagio e alla patologia psichiatrica uniamo le tossicodipendenze – solo a Poggioreale oltre 600 tossicodipendenti su circa 2100 detenuti – la strada appare senza ritorno.

Restano poi da considerare le visite specialistiche che il detenuto prenota per il tramite del Cup regionale; in tal caso, ferme le ordinarie lungaggini, una volta avvicinatasi la data dell’appuntamento si manifesta l’ulteriore problema del c. d. “traduzione e piantonamento” a mezzo del relativo Nucleo di Polizia Penitenziaria; ogni giorno centinaia di visite specialistiche saltano per l’impossibilità del Nucleo competente di effettuare la traduzione e il piantonamento del detenuto paziente.

Dalla Sanità alla Polizia Penitenziaria che vede il suo organico ridotto all’osso fino a rendere la vita lavorativa dell’agente in servizio un vero inferno, tant’è che anche in quei ranghi ogni anno si registrano suicidi; gli agenti in servizio effettivo nelle carceri italiane sono così pochi che, ad esempio, non riescono a fruire delle loro ferie, sommando, ognuno di loro, ogni anno, decine di giorni di ferie non godute; sono così pochi che nel turno di notte, in servizio nelle carceri, ognuno di loro risponde per centinaia di detenuti; non sono eroi, sono persone alle dipendenze dello Stato che lavorano troppo spesso in condizioni disumane e questo è l’altro triste lato della medaglia del sistema penitenziario italiano.

Cosa resta di questo fallimento? e soprattutto quali soluzioni possono offrirsi per porre rimedio ad una condizione umana – come visto non solo quella dei detenuti – che ogni giorno nelle carceri italiane viene mortificata?

Innanzitutto restano le donne e gli uomini che quotidianamente prestano servizio in carcere, i direttori, il personale amministrativo, quello delle aree educative, quello sanitario, la Polizia Penitenziaria, gli insegnanti, i poli universitari, i volontari; un meraviglioso insieme di persone di buona volontà che meriterebbero, loro prima ancora dei detenuti, insieme ai detenuti, una soluzione dettata dall’urgenza e qui il pensiero va alla proposta di legge Giachetti e all’apertura mostrata sul punto dal Presidente del Senato Ignazio La Russa.

Dopodiché, risolta l’emergenza, occorre pensare a qualcosa di diverso dal carcere, dove la pena alternativa, la riparazione, possano essere una strada di apertura delle carceri; prima ancora va ripensato il rapporto con determinate aree sociali di degrado, di abbandono, di indifferenza; in quei luoghi, con persone meno fortunate, la scuola, il lavoro, lo sviluppo, il commercio, i trasporti pubblici, in prospettiva possono cambiare modi di vivere e di pensare e, nel lungo periodo, portare alla chiusura dei penitenziari per mancanza di detenuti: non si tratta di una stupida fantasia, bensì di una visione che prende spunto da paesi europei che, partendo da lontano, hanno svuotato le loro carceri.