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Alberto Cubeddu condannato all'ergastolo in appello
«I carabinieri mi hanno estorto ammissioni che io non avrei voluto nemmeno fare». A dirlo è Alessandro Taras, il teste fondamentale per l’accusa nei confronti del 25enne Alberto Cubeddu – difeso dagli avvocati Mattia Doneddu e Patrizio Rovelli - dove si è visto da pochi giorni confermare in appello l’ergastolo per l’omicidio di Gianluca Monni avvenuto in Sardegna, a Orune (provincia di Nuoro), e con il sequestro, l’omicidio e la distruzione del cadavere, mai trovato, di Stefano Masala di Nule. Si tratta di un passaggio di un’intercettazione riportata nella denuncia a firma di Cubeddu stesso, da poco depositata alla procura generale di Cagliari, al procuratore di Sassari e al comandante della legione dei carabinieri Sardegna. Non è di poco conto e che apre, di fatto, delle falle all’impianto accusatorio nei confronti di un ragazzo che rischia definitivamente di scontare un ergastolo per dei delitti che probabilmente non ha commesso. Alessandro Taras, di Ozieri, inizialmente è stato accusato, in concorso con Alberto Cubeddu, di aver incendiato l’auto di Stefano Masala. Il pubblico ministero Andrea Vacca aveva concluso la sua requisitoria sollecitando una condanna a 10 mesi per incendio doloso. Ad aprile del 2017 è stato assolto, ma nel frattempo era diventato il superteste dell’accusa. Cambia versione e diventa il principale accusatore Dal 18 settembre 2015, data in cui Taras è stato sentito dai Carabinieri della Compagnia di Nuoro come persona informata sui fatti, si sono susseguiti una serie di accadimenti che lo avrebbero motivato nel corso dei mesi successivi a cambiare le proprie dichiarazioni proponendo una diversa ricostruzione dei fatti in chiave accusatoria. Accadimenti che risultano, appunto, dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate nel corso dell’attività investigativa svolta e, tra i quali, hanno avuto un peso determinante gli incontri con i familiari dello scomparso Stefano Masala e i molteplici colloqui con gli investigatori. Già dal febbraio 2016 i parenti dello scomparso si sono impegnati a individuare chi fosse la persona indagata insieme ad Alberto Cubeddu per la distruzione della Opel Corsa, nonché quale auto egli guidasse all’epoca dei fatti. I familiari dello scomparso sono riusciti a individuare l’allora coindagato Alessandro Taras. In tale occasione, come si evince dal contenuto delle intercettazioni, Taras ha proposto ai suoi interlocutori una versione di quanto accaduto nella notte tra l’8 e il 9 maggio 2015 assolutamente sovrapponibile a quella offerta agli investigatori quando è stato assunto a sommarie informazioni il 18 settembre 2015. Ovvero aveva escluso qualsiasi responsabilità di Cubeddu in merito ai fatti per i quali qualche giorno fa è stato condannato. Quei colloqui riservati e non verbalizzati Ma poi Taras cambia versione, perché? Dalla denuncia presentata ieri, emergerebbe che già a partire da ottobre Alessandro Taras è stato più volte convocato dai carabinieri in modo informale per colloqui riservati, mai verbalizzati né oggetto di relazione di servizio. Incontri segreti dei quali i legali di Cubeddu sono venuti a conoscenza solo attraverso un’attentissima analisi delle intercettazioni telefoniche agli atti del processo. Taras, parlando con i suoi interlocutori nei giorni di ottobre tra cui una sua amica avvocato, alla quale solo in un momento successivo conferirà mandato difensivo e che in quel momento non risultava essere suo difensore (anche perché egli non era ancora iscritto nel registro degli indagati), ha ricostruito dei fatti che secondo la denuncia presentata da Cubeddu sono di estrema gravità. Ossia, subito dopo l’incontro con il Luogotenente e i Carabinieri del Nucleo Investigativo, Taras ha confidato alla stessa che i militari che lo avevano incontrato avevano preteso che modificasse la sua ricostruzione dei fatti dichiarando che Cubeddu non era in macchina con lui la sera tra l’8 e il 9 maggio 2015, bensì alla guida della autovettura dello scomparso Stefano Masala utilizzata per l’omicidio di Gianluca Monni. Gli avrebbero inoltre contestato il percorso, riferito nell’audizione di settembre sulla base della loro ricostruzione, e minacciato di una revoca indebita e ingiustificata del suo porto d’armi e di un aggravamento della sua posizione, ipotizzando – sempre secondo quanto racconta Taras all’amica - un diretto coinvolgimento nell’omicidio di Stefano Masala e Gianluca Monni.Taras ne parla anche con un amico. Dalle intercettazioni emerge la confidenza che il suo racconto gli sarebbe stato fermamente contestato, nonostante lui fosse stato più che chiaro che qualsiasi modifica alle sue dichiarazioni avrebbe significato dichiarare il falso. Nella medesima intercettazione emerge anche un ulteriore dettaglio. Ossia la pretesa da parte dei carabinieri del nucleo investigativo di rivedere quanto dichiarato nella sua prima audizione, che si sarebbe accompagnata alla garanzia e alle rassicurazioni che così facendo non avrebbe patito alcuna conseguenza. Tali incontri con i carabinieri, però non si sarebbero fermati ad ottobre, ma sarebbero continuati nel tempo. Il 24 marzo 2016, Taras confida ad un amico: «Mi hanno fregato i carabinieri che mi hanno fatto dare una deposizione che non si può usare al processo perché non c’era il mio legale» «me l’hanno estorta» «pressandomi me l’hanno.. mi hanno messo in bocca delle parole che io non avrei nemmeno voluto dire». La denuncia nei confronti dei carabinieri Nella denuncia da parte di Cubeddu, che ha nominato come difensore l’avvocato Mattia Doneddu, si fa presente – per corroborare un presunto accanimento nei sui confronti – anche l’informativa dei carabinieri ritenuta veritiera per tutte le successive fasi delle indagini fino al processo di primo grado. Nell’informativa, risalente al 9 maggio 2015, c’era scritto che «il ragazzo risulta indagato per tentato omicidio e rapina in concorso con il cugino Paolo Enrico Pinna». Si riferisce a un episodio avvenuto ad Ozieri il 6 gennaio 2014, una sparatoria contro un automobilista che stava facendo benzina con il solo obiettivo di rubare la macchina. I magistrati hanno prestato fede all’informativa e l’hanno ritenuta sufficiente a supportare la custodia cautelare descrivendo Alberto come una persona violenta, dedita alle rapine, pericoloso capace quindi anche di uccidere. Peccato che tale informativa si è rivelata una bufala, smentita alla Procura dei minorenni e e da quella di Sassari che hanno certificato che Cubeddu non è mai stato iscritto per quei fatti.In realtà tali ricostruzioni esposte nella denuncia, in occasione dell’udienza del 5 luglio 2018 presso la Corte d’Assise di Nuoro, erano state fatte presenti dall’avvocato Patrizio Rovelli, chiedendo alla Corte di trasmettere gli atti alla Procura Generale presso la Corte d’Appello di Cagliari al fine di far valutare dall’organo disciplinare i comportamenti della polizia giudiziaria di Nuoro e in modo particolare degli appartenenti al Nucleo Investigativo di Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri. Ma nulla da fare. La Corte d’Assise di Nuoro non ha assunto alcuna determinazione in ordine alla richiesta.Eppure sono elementi che mettono in discussione uno dei pilatri fondamentali dell’accusa e che ha determinato la condanna all’ergastolo del 25enne. Secondo la denuncia, tutti questi fatti troverebbero come unica spiegazione la volontà dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Nuoro di inchiodare Alberto Cubeddu a responsabilità per fatti che non ha mai commesso. Resta sullo sfondo una domanda. Parliamo di intercettazioni che provengono da atti ufficiali del processo, perché non ne hanno tenuto conto per valutare l’attendibilità del superteste Taras? Quando Alberto è entrato in carcere aveva 20 anni e potrebbe trascorrerci gran parte della sua vita. I familiari, in particolare la sorella Gabriella, non si arrendono. La storia come la sua, in fondo, potrebbe riguardare tutti.