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PRESENTAZIONE DELL AREA INDUSTRIALE INTERNA DEL CARCERE DI BOLLATE
Dal mese di ottobre 2024, in Francia cinque detenuti sono stati uccisi da un compagno di cella, in circostanze atroci. Tra loro, un giovane uomo incarcerato alle Baumettes, a Marsiglia, terrorizzato dal suo compagno di cella che egli stesso definiva «folle». Ha parlato, urlato, scritto, chiamato al citofono. Invano. In un’interrogazione al governo, la senatrice Valérie Boyer (Les Républicains, Bouches-du-Rhône) ha ricostruito la scena: «Il suo carnefice si è servito di una scodella rotta per ucciderlo, arrivando quasi a decapitarlo». Il ministro della giustizia le ha risposto: «Entrambe le procedure, giudiziaria e amministrativa, sono tuttora in corso. Pertanto, come lei ben sa, non posso esprimermi sul caso. Quando le conclusioni saranno rese note, adotteremo le misure necessarie affinché un simile dramma non si ripeta».
Eppure, da allora, «un simile dramma» si è ripetuto altre quattro volte.
A Poitiers-Vivonne, a Bois-d’Arcy), ad Aix-Luynes ( e a Rennes-Vezin), dove un uomo affetto da incontinenza è morto sotto i colpi del suo compagno di cella, che «non sopportava il suo odore». La ripetizione di questi «drammi» non ha suscitato nel governo né dichiarazioni né condoglianze pubbliche. No: nel corso dell’anno, l’indignazione del ministro della giustizia si è concentrata su altro: presunti trattamenti estetici offerti ai detenuti a Toulouse-Seysses — notizia falsa —, un lettino da massaggio nella prigione di Nîmes, che lo ha spinto a fare dietrofront alla vigilia di una visita, per poi vietare le «attività ludiche», peraltro previste dalla legge; divieti fortunatamente smentiti dal Consiglio di Stato. Quanto all’evasione di un detenuto — rapidamente catturato — durante un permesso di uscita collettivo a Rennes-Vezin essa ha provocato l’immediata destituzione del direttore del carcere. E, subito dopo, a Digione, due ulteriori evasioni «alla vecchia maniera» — una sega per le sbarre, lenzuola per arrampicarsi sul tetto — dovrebbero indurre a riflettere sul tempo contato degli agenti, sull’allarmante sovraffollamento delle celle e sulla cronica carenza di personale. Mancano tra i 4.000 e i 5.000 agenti di custodia e 1.000 consiglieri per l’inserimento e la probation. Tutto ciò trasforma in un inferno la vita nelle celle e nei corridoi.
Eppure il ministro ha annunciato perquisizioni «XXL», affinché non restino più telefoni né un grammo di cannabis nelle prigioni. Questo ha costretto gli agenti a trascurare le loro funzioni ordinarie a favore di perquisizioni e sequestri, ma gli «stock» si ricostituiranno altrettanto rapidamente. Altra conseguenza: la soppressione dei permessi di uscita cosiddetti «collettivi», salvo che siano rigidamente sorvegliati da numerosi agenti. Impossibile, data la carenza di personale. Tutti vengono dunque annullati, azzerando gli sforzi di chi li aveva organizzati per preparare i detenuti al ritorno nella società, verso una via di reinserimento che, è bene ricordarlo, è sancita dalla legge ma così raramente rispettata. .È sconfortante constatare che tre evasioni appaiano molto più gravi di cinque morti in un solo anno. Più gravi dei suicidi, in costante aumento — 141 nel 2024 — con il crescere della sovrappopolazione carceraria. Esiste una gerarchia dell’indignazione.
Le famiglie di queste vittime, uccise nell’indifferenza, si sono rivolte contro lo Stato denunciando gravi disfunzioni. Questi crimini hanno infatti un denominatore comune: una sovrappopolazione carceraria spaventosa negli istituti interessati, con tassi di occupazione del 150%, del 200%, fino al 270%. Il guardasigilli riconosce, con lucidità, condizioni di detenzione «indegne». Sa che la violenza cresce in modo esponenziale con l’aumento della sovrappopolazione. Ma il ministro ha spiegato che non ci sono i fondi per ristrutturarle. Non ci sono fondi per porre fine all’umiliazione delle celle fatiscenti, all’ammassamento e ai maltrattamenti. Eppure, come per miracolo, sono stati appena trovati 29 milioni di euro per disturbatori di telefoni cellulari che, come i precedenti — costati altri milioni — rischiano di diventare presto obsoleti. Così si riassume la politica penitenziaria attuale: priva di visione, scandita da dichiarazioni roboanti. E tuttavia, la speranza rimane. perché in carcere accadono anche cose belle, grazie alla dedizione, all’intelligenza e all’energia di coloro che vi operano al servizio dei nostri concittadini detenuti. Anche se, in questi tempi, ne sono spesso e assurdamente impediti. Bisogna crederci, e agire, affinché cessino finalmente lo scandalo e le morti.
*Garante francese dei detenuti


