«Io non credo di aver sbagliato perché nessuno si è sognato di dirmi: “Guarda che non potevi fare quello che dovevi fare”, ma fosse anche che mi fossi sbagliato sono scriminato dall’adempimento di un dovere perché avevo il dovere di denunciare la notizia di reato al Procuratore generale e avevo il dovere di informare il Consiglio superiore della magistratura».

Nessuno, tra i componenti del Comitato di presidenza del Csm, avrebbe invitato Piercamillo Davigo a formalizzare la vicenda relativa ai verbali di Piero Amara, consegnatigli dal pm milanesi Paolo Storari. Verbali nei quali veniva svelata l’esistenza di una presunta Loggia, denominata “Ungheria” e della quale, a dire di Amara, avrebbero fatto parte anche due componenti del Csm attuale, i togati Sebastiano Ardita e Marco Mancinetti, poi dimessosi a settembre del 2020.

Quei documenti, ad aprile dello stesso anno, erano stati affidati a Davigo da Storari, che lamentava l’inerzia dei vertici della procura (il procuratore Francesco Greco, la cui posizione è stata archiviata, e l’aggiunta Laura Pedio, che è ancora indagata per omissione d’atti d’ufficio) nel procedere con le iscrizioni. E da lì tutto ha iniziato a precipitare, con la pubblicazione dei verbali sui giornali, le indagini che hanno coinvolto diversi magistrati e una nuova crisi interna a Palazzo dei Marescialli. Il tutto mentre sulla credibilità di Amara non è stata fatta ancora chiarezza.

Davigo aspettava dunque «indicazioni», anche perché fare una relazione di servizio, ha spiegato al gup di Brescia, dov’è indagato assieme a Storari per rivelazione di segreto d’ufficio, avrebbe significato far conoscere a tutti la situazione, comprese le persone indicate da Amara nel verbale. «Però se mi dicevano fai una relazione di servizio, come ho fatto tante volte nella vita (...) l’avrei formalizzata». Fu l’ex pm di Mani Pulite a convincere Storari che la consegna di quel materiale era legittima. Tant’è, ha sostenuto l’ex magistrato, che «non mi capacito (...) come Storari sia qui. Storari si è fidato di un componente del Consiglio superiore della magistratura, ma che cosa deve fare un magistrato di fronte a un comportamento che reputa illegale dei suoi superiori se non parlare con l’Organo di autogoverno?». Davigo, «impressionato dalla mancata iscrizione» disse a Storari «che se non fosse avvenuta» bisognava «necessariamente informare dell’accaduto il comitato di presidenza», col quale si propose, «se lui riteneva» di «fare da tramite».

Così il pm consegnò i verbali e Davigo li portò con sé, il 4 maggio 2020, a Palazzo dei Marescialli, nella convinzione di dover agire in maniera urgente. «Amara dice che il precedente Consiglio era... quello di Palamara e Forciniti per intenderci, era sostanzialmente sotto il controllo di questa loggia», ha spiegato. E a fronte delle «circa mille nomine» fatte dallo stesso «poteva sorgere la necessità (...) di eventuale annullamento in via di autotutela di qualcuna». Il tempo a disposizione era però poco: «La legge impone un termine di un anno e mezzo, che stava per giungere alla fine».

La prima persona con la quale Davigo parlò della situazione fu David Ermini, vicepresidente del Consiglio, che poi «chiamò il Presidente della Repubblica». Ma la consegna dei verbali sarebbe avvenuta solo in un secondo momento e non subito, come sostenuto da Ermini, in quanto «continuava a chiedermi i nomi». Ermini dichiarò di averli buttati nel cestino, senza leggerli. Una cosa «stravagante», in quanto sarebbe stato più appropriato usare il «tritacarta». E secondo Davigo, nel «momento in cui Ermini distrugge la prova del mio reato lo dovete incriminare per favoreggiamento. Non mi consta che sia avvenuto, l’hanno sentito a sommarie informazioni testimoniali. Sarebbe un illecito disciplinare, ma comunque…». Dopo qualche giorno Davigo ne parlò anche con il pg della Cassazione Giovanni Salvi.

«Io mi sono illuso (...) che informando il procuratore generale», che è anche «titolare dell’azione disciplinare insieme al ministro della Giustizia, la situazione si sarebbe sbloccata, cioè le iscrizioni sarebbe finalmente avvenute, cosa che è puntualmente avvenuta, anche se negano di aver parlato di questo e hanno perso i telefoni (Salvi e Greco, ndr) ».

Davigo è convinto dunque di aver agito secondo la legge, dal momento che «il Consiglio è organo di garanzia dell’ordine giudiziario e siccome per poter garantire il funzionamento dell’ordine giudiziario ha bisogno di conoscere, a esso Consiglio e ai suoi singoli componenti non è opponibile il segretario d’ufficio». Ma perché, dunque, dirlo anche al senatore Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare Antimafia? Nessuna notizia di dettaglio, ha specificato Davigo, secondo cui le dichiarazioni di Morra sarebbero in gran parte «frutto di fantasia».

L’ex pm, infatti, informò il senatore quando questi si presentò al Csm chiedendo se fosse possibile una pacificazione con Ardita. «Io gli dissi: “Guarda, senti, abbi pazienza, ci sono delle cose che tu non sai, io non posso in questo momento riprendere i rapporti con Ardita, che tra le altre cose sarebbe tacciato di appartenere a una struttura massonica”». E ciò senza mostrare i verbali, che invece, secondo la versione di Morra, gli sarebbero stati fatti vedere nel sottoscala di Palazzo dei Marescialli. «Se ha visto i verbali dovrebbe dire che cosa c’è scritto sopra», ha affermato, dato che «c’è scritto a caratteri grossi» sia quale fosse la procura sia il nome del dichiarante. «Lui ha detto che non sapeva né qual era la Procura né qual era il dichiarante, come fa ad averli visti?», si è chiesto Davigo.