La riforma della giustizia torna, per iniziativa dell’Unione delle camere penali, al centro del dibattito fra gli operatori del diritto con gli “Stati generali per la riforma dell’Ordinamento giudiziario”, convocati ieri e oggi a Roma. «I penalisti italiani, magistrati, politici, rappresentanti del Consiglio superiore della magistratura, discuteranno - anche da posizioni molto diverse - di sistema elettorale del Csm, delle competenze di tale organo, di carriere da separare o da mantenere unite, dei fuori ruolo, di obbligatorietà dell’azione penale, con uno sguardo anche a cosa accade nei sistemi giudiziari europei e democratici», ha dichiarato il presidente delle Camere penali, l’avvocato Giandomenico Caiazza, presentando l’iniziativa.

La due giorni delle Camere penali cade in un momento molto particolare, all’indomani delle polemiche che hanno travolto l’Organo di autogoverno delle toghe e con la riforma della giustizia, voluta e più volte annunciata dal Guardasigilli Alfonso Bonafede, di prossima approvazione.

«Su queste tematiche è calato il silenzio assoluto della politica. Da emergenza cruciale, dopo le note vicende emerse intorno alla nomina dei nuovi vertici di alcune importanti Procure tra cui quella capitolina, al silenzio. Nulla, nemmeno un chiarimento sul destino della proposta di riforma che Bonafede inserì in quattro e quattr’otto nella legge delega di riforma dei tempi del processo penale, ancora vigente il governo gialloverde», ha puntualizzato Caizza.

Fra i temi oggetto della discussione, un posto di rilievo merita certamente la separazione delle carriere, cavallo di battaglia dei penalisti che hanno al riguardo organizzato una raccolta di firme per un disegno di legge di iniziativa polare, la cui discussione alla Camera è in calendario per il mese prossimo. Senza dimenticare “i fuori ruolo”, i magistrati dedicati ad incarichi non giurisdizionali il cui numero è, comunque, stabilito per legge, e i criteri di priorità da parte dei procuratori nella trattazione dei fascicoli, un passo verso la discrezionalità dell’azione penale. «Il nodo cruciale della questione sta nel rapporto tra magistratura e politica», aggiunge il presidente dei penalisti, invitando il Parlamento a prendere posizione sul punto. «Sul sorteggio come meccanismo di selezione dei consiglieri del Csm, ribadisco qui la mia contrarietà, perché il Consiglio rischierebbe di uscirne azzerato nella sua natura di organo di rappresentanza del pluralismo e ridotto a entità meramente burocratica ed esecutiva», ha dichiarato David Ermini, vice presidente del Csm, rispondendo subito alle sollecitazioni dei penalisti.

Dura la presa di posizione riguardo lo scandalo che ha coinvolto il Csm, determinando le dimissioni di cinque consiglieri togati: «La degenerazione delle correnti in correntismo è innegabile ed è un problema vero e grave. Da anni si assiste a una deriva carrierista, corporativa e clientelare delle correnti che va sicuramente affrontata». «E’ in buona sostanza - prosegue Ermini - analoga alla parabola post- ideologica dei partiti, un tempo soggetti di passioni collettive, grandi idealità e progettualità del futuro e ora simili ad apparati autoreferenziali e di potere». Infine una stoccata alle riforma giustizia targata Bonafede. A partire proprio dallo “Spazzacorrotti”.

«Resta inaccettabile il fatto che le percentuali più alte per ciò che riguarda la prescrizione si registrino proprio nella fase delle indagini preliminari: il Csm, nel parere su questa legge, non ha mancato di evidenziare questo aspetto, sottolineando l’incongruenza di una riforma, per la quale dal prossimo anno il corso della prescrizione sarà sospeso dopo la sentenza di primo grado, che in effetti non incide minimamente sulla fase delle indagini preliminari. Quel parere del resto non lascia margini di dubbio sul forte rischio, in assenza di interventi organici e strutturali sul processo penale, di un effettivo allungamento dei tempi, con importanti ricadute sulla posizione delle vittime di reato e degli imputati». «E’ chiaro che un processo tendenzialmente illimitato entra in piena rotta di collisione con il principio costituzionale della ragionevole durata e viene a ledere in modo insanabile il diritto di difesa», ha aggiunto Ermini.

«Le indagini preliminari non possono e non devono trasformarsi per l’indagato in una sorta di limbo infamante sottratto alle leggi del tempo: a indagini concluse, o si esercita l’azione penale o si chiede l’archiviazione», il monito finale del vice presidente del Csm.