Alfredo Cospito resta al 41 bis: i Tribunali di Sorveglianza di Milano e Sassari hanno respinto entrambi la richiesta di differimento pena per motivi di salute nella forma della detenzione domiciliare e quella di collocazione permanente nel reparto di medicina protetta dell'ospedale San Paolo di Milano, presentata dai suoi avvocati Flavio Rossi Albertini e Maria Teresa Pintus. I legali avevano indicato come residenza per gli eventuali arresti domiciliari la casa della sorella di Cospito, a Viterbo. Tale tipo di decisione non sembra inaspettata perché, come anticipato nei giorni precedenti, c’è giurisprudenza che nega questa richiesta quando a deteriorare lo stato di salute di un detenuto è il detenuto stesso. Ma vediamo nello specifico.

Il Tribunale di Sorveglianza del capoluogo lombardo, presieduto da Giovanna Di Rosa, parte da tale presupposto: l’attuale condizione di salute del detenuto è «conseguenza dell’esercizio del suo diritto all’autodeterminazione attraverso il rifiuto, con scelta programmata, volontaria e autonoma della nutrizione, affiancato alla dichiarazione delle sue motivazioni (contrarietà al 41 bis) e alla definizione degli obiettivi auspicati (cessazione nei suoi confronti di quel regime speciale)». Inoltre, «da nessun elemento agli atti (...) si trae che la scelta di Alfredo Cospito di intraprendere e, attualmente, proseguire, nello sciopero della fame possa essere ricondotta a tratti disfunzionali di personalità (sui quali sarebbe altrimenti doveroso indagare)». Cospito è «lucido» e «determinato nelle rifiuto delle terapie proposte» per sopperire alle carenze del digiuno, nonostante possa così esporsi a complicanze cardiologiche, neurologiche e metaboliche. Pertanto il Collegio ha rigettato l’istanza richiamandosi altresì a dei precedenti della Corte di Cassazione, tra cui una sentenza del 2019 che recita, tra l’altro: «La condizione di sofferenza autoprodotta dal condannato, realizzata mediante comportamenti come la mancanza di collaborazione per lo svolgimento di terapie e di accertamenti o il rifiuto dei medicamenti e del cibo, non può essere presa in considerazione ai fini del bilanciamento tra esigenze di salvaguardia dei diritti fondamentali e obblighi di effettività della risposta, non potendosi pretendere tutela di un diritto abusato e esercitato in funzione di un risultato estraneo alla sua causa».

L’accettazione dei trattamenti sanitari rappresenta dunque «la condizione giuridica necessaria alla positiva valutazione della relativa richiesta». Invece nel caso di Cospito si afferma che «la strumentalità della condotta che ha dato corso alle patologie oggi presenti è assolutamente certa». Per quanto concerne infine la richiesta, avanzata pure dal Pg, di disporre in via permanente la collocazione di Cospito nell’attuale reparto di Medicina Protetta, essa non può essere presa in considerazione in quanto materia del magistrato di sorveglianza. Motivazioni simili sono alla base del rigetto da parte Tribunale di Sorveglianza di Sassari, presieduto da Giommaria Cuccuru: «Affinché la grave infermità fisica possa costituire il presupposto di applicabilità del differimento dell’esecuzione della pena per motivi di salute, è necessaria la sua involontarietà».

In merito alla decisione si è espresso il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro delle Vedove: «La partita è chiusa», in quanto «lo Stato ha riaffermato che non si piega a condotte strumentali peraltro asseritamente volte a revocare il 41 bis a decine e decine di mafiosi». Mentre l’avvocato Rossi Albertini ci dice: «L'esito era scontato, non confidavamo in alcun modo in questa iniziativa, rappresentava un passaggio obbligato per adire, anche sotto questo profilo, le giurisdizioni internazionali. Il caso Cospito è paradigmatico sotto molti profili dello stato di civiltà giuridica del nostro Paese, chissà cosa ne direbbe Voltaire se fosse ancora vivo».