Egregio Ministro Nordio,

ho seguito molto da vicino nel 2020 lo sciopero della fame intrapreso dalla avvocatessa turca Ebru Timtik perché la avevo personalmente conosciuta e poi, nel mio ruolo di Osservatore Internazionale per l’Unione delle Camere Penali, perché mi pareva che si fosse di fronte ad una stortura dovuta all’autoritarismo del sistema giuridico turco per il fatto che la si lasciasse morire senza che alcuno si degnasse di conoscere quali fossero le sue estreme condizioni, i motivi della sua protesta e come si potesse interrompere il braccio di ferro in corso.

Non ci voleva molto a capire che in questo braccio di ferro la parte più fragile era ovviamente lei e dunque, rimanendo ferme le cose, il destino di Ebru era segnato. Infatti, dopo cinque mesi di sciopero totale della fame, Ebru morì, senza essere stata rimessa in libertà né dalle corti turche né dalla Corte Europea. Commentando sulle pagine di questo stesso giornale la sua morte, scrissi allora che simili cose potevano avvenire solo in una società antidemocratica, incapace di far intervenire quelle “agenzie” di intermediazione (giudiziarie, legali, cliniche ed anche, perché no? morali o religiose) che invece nel nostro assetto democratico abbondano e sono in grado di impedire che certe tragedie si compiano suggerendo o imponendo decisioni coraggiose, o anche solo di buon senso (che a volte sono le più coraggiose) che dicano alt ad una tragica deriva. Ognuno assumendosi le proprie responsabilità. Infatti, nella storia che ricordo io, nessuno che abbia intrapreso lo sciopero della fame in carcere ne è morto, contrariamente a quanto accaduto in altri paesi occidentali (Irlanda, quando era ancora Gran Bretagna).

Ma attorno al caso Cospito ho veramente paura che le mie deduzioni di allora circa il caso Timtik vengano smentite. In molti, non solo giuristi, di un’area molto vasta, si sono mobilitati e stanno chiedendo a gran voce di riconoscere che il 41 bis applicato al Cospito è un nonsenso e che comunque ci si aspetta un gesto politico che scongiuri un esito estremo. Le condizioni di salute del detenuto, dopo 4 mesi di sciopero della fame, sono ormai molto gravi. Certamente l’amministrazione penitenziaria lo monitora, o almeno così si spera. Però è molto strano che il Ministero non abbia mandato nemmeno un’ispezione clinica per capire quanto gravi siano tali condizioni. Il detenuto ha perso 40 chili: assai più di un quarto, valicando dunque quella soglia che – almeno tradizionalmente, basandosi su altri casi di sciopero della fame – anche i giudici considerano pericolosa, potenziale portatrice di un esito infausto o comunque tale da rendere difficilissimo un recupero anche se domani cessasse la protesta. Purtroppo non sono rari i casi – e anche qui Turchia docet – in cui il detenuto muore dopo essere stato rimesso in libertà perché non ce la fa a recuperare.

La dottoressa che lo sta seguendo ha rilasciato una dichiarazione alle agenzie in cui si dice che apparentemente, nonostante il dimagrimento, Cospito non è in articulo mortis, è ben orientato, sia pure con cali e sbandamenti; ma non ha più nessuna riserva né di grassi né di zuccheri e quindi potrebbe crollare da un momento all’altro: crollare nel senso letterale di cascare in terra morto. Tant’è che lei lo ha consigliato di mantenere la socialità dell’unica ora d’aria con altri tre detenuti che gli è concessa, ma di non camminare nemmeno (e lui invece vorrebbe) per non consumare le ultime energie rimaste.

Ove si dovesse raggiungere un punto di crisi finale i giudici potranno intervenire non certo con cure o alimentazione coatta (ambedue vietate dalla nostra Costituzione, stando alla giurisprudenza della Corte Costituzionale), ma sospendendo la pena per agevolare una ripresa; intanto si continuerà a discutere se il 41 bis si attaglia oppur no al caso Cospito; potrebbe intervenire, sia pure tangenzialmente, anche la Corte Costituzionale, già investita di alcuni aspetti della sua detenzione; potrebbe intervenire addirittura la CEDU, se adita in via incidentale e d’urgenza, senza attendere tutto l’iter interno e l’Italia con ogni probabilità non vincerebbe la causa e ci farebbe una ben meschina figura.

Ma c’è una cosa specifica che il Ministero potrebbe fare, anzi due, collegate: primo, mandare domani stesso un medico ispettore che accerti le condizioni del detenuto. Secondo, se tali condizioni sono quelle che noi sappiamo per averle pacatamente, ma drammaticamente descritte la sua dottoressa, il Ministro può sospendere l’applicazione del 41 bis. Nel suo potere di decretare l’applicazione del 41 bis o revocare la stessa, ci sta sicuramente – anche per solo buon senso – anche il potere intermedio di sospenderla per un congruo periodo di tempo. Intanto quelle “agenzie” di intermediazione potranno far valere la loro voce sull’assurdità del 41 bis in questo caso concreto (e magari, chissà, anche in generale).

L’importante è dimostrare che in Italia non possono accadere le stesse tragedie che caratterizzano un sistema autoritario come quello turco. Mi vanto di dire che noi siamo più avanti in tema di democrazia e rispetto dei diritti umani, anche dei detenuti, anche dei detenuti che hanno scelto una legittima forma di protesta: anche se non si fosse d’accordo coi motivi di questa protesta.

Confido che possa essere presa da Lei, signor Ministro, un’iniziativa del genere che, quanto meno, ribadirebbe i connotati democratici del nostro paese.

La ringrazio per l’attenzione che vorrà dedicare a questo mio appello, 

Ezio Menzione, osservatore internazionale Ucpi