Il decreto anticorruzione è pronto. Di Maio dice che avrà un effetto importante sull’economia, perché spazzerà via la corruzione e libererà risorse. La Lega invece sembra avere un po’ di dubbi. Ieri Salvini, parlando del decreto, ha detto di fare attenzione “e di ricordarsi che le persone sono innocenti finché non vengono condannate”. I punti forti del decreto, e i più contestati ( anche da alcuni magistrati) sono quelli che riguardano il divieto a vita, per chi viene condannato per un reato contro la pubblica amministrazione, di ottenere incarichi dalla pubblica amministrazione; l’introduzione degli agenti sotto copertura; la conferma della confisca anche se il reato si estingue per prescrizione; e infine - si è saputo ieri l’estensione dell’articolo 4 bis del regolamento carcerario ( quello che prevede il carcere duro per terroristi e pedofili) anche agli imputati e ai condannati per reati contro la pubblica amministrazione.

Oggi il ddl Anticorruzione approda in Consiglio dei ministri, salvo intoppi dell’ultim’ora. A confermare che il testo voluto dal Guardasigilli Bonafede sia pronto è il vicepremier Luigi Di Maio, il quale lo definisce «come una manovra economica mascherata: se contrastiamo la corruzione avremo più risorse, più merito e restituiremo più fiducia ai cittadini per rilanciare la domanda interna».

Il disegno di legge, che poggia sui due pilastri del Daspo a vita ai condannati e degli agenti sotto copertura, ha visto tra le indiscrezioni sul suo contenuto due ipotesi abbastanza inquietanti. La prima è l’estensione dell’articolo 4 bis del regolamento carcerario ( in pratica carcere duro) agli imputati o condannati per reati contro la Pubblica amministrazione. La seconda è una norma sulla confisca: nel caso di reati corruttivi e di conseguente confisca dei beni disposta in caso di condanna, la confisca rimane efficace anche nel caso in cui il reato si estingua per prescrizione.

Il testo ancora non pubblico, però, ha già diviso la magistratura. Favorevole alle nuove norme è il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, in particolare sull’introduzione della pena accessoria del Daspo: «Il fatto che sia l’interdizione e sia l’incapacità di contrattare nella pubblica amministrazione sia prevista in modo perpetuo - spiega - significa che si vuole impedire che chi è stato corrotto ed è stato condannato a distanza di anni rientri in quello stesso cerchio magico che aveva determinato il suo arricchimento. Io penso che bisogna intervenire per impedire che determinati fenomeni si perpetuino». La giustificazione, secondo de Raho, sta nel fatto che «è certo che noi abbiamo avuto esempio d’imprenditori condannati per corruzione che a distanza di 15 anni sono tornati sul mercato e hanno ripreso ad operare con le stesse modalità che avevano determinato una condanna. Quindi dobbiamo muoverci con delle misure drastiche per impedire che la corruzione continui a connotare i nostri sistemi: una sanzione di questo tipo è una sanzione talmente forte che scoraggia».

Ad essere scettico, invece, è l’ex magistrato Carlo Nordio, che dal- le pagine del Messaggero parla di «stretta inefficace» che travolge le garanzie all’imputato. «Gli arnesi sono sempre gli stessi: nuovi reati e pene più severe, con l’aggiunta del Daspo e dell’agente inflitrato» e ancora «gli inasprimenti delle pene non intimidiscono nessuno, nè i criminali in genere nè i corrotti in specie. Questo perchè il potenziale bottino è enorme e il rischio di esse presi e condannati è minimo». Secondo Nordio, infatti, la chiave sarebbe dovuta essere «non di impaurire gli amministratori infedeli, ma di disarmarli, togliendo loro di mano i micidiali strumenti di cui dispongono: troppe leggi, contraddittorie e oscure, che conferiscono a questi signori una discrezionalità che sconfina nell’arbitrio». Anche l’associazione Libera ha commentato il ddl, definendolo una «riforma anticorruzione che nasce già monca e che, soprattutto, non incide sul nodo cruciale della prescrizione, rinviata ad altra futura legge. Non riduce e semplifica le troppe fattispecie di reato oggi previste dal codice penale, nè cancella i discutibili vincoli ( la sussistenza di reati associativi) imposti dall’ultimo codice antimafia alla possibilità di confisca dei beni di corrotti e dei corruttori. Si tratta di una riforma che non tocca le nuove, sfuggenti forme di ' corruzione a norma di legge'». Il Daspo, di conseguenza, viene definito «un’arma spuntata se i tempi ristretti di prescrizione continueranno a lasciar presagire una fine precoce di qualsiasi inchiesta complessa». Inoltre, «la prospettiva di un’interdizione a vita in caso di condanna può paradossalmente consolidare il patto di ferro che lega i partecipanti all’illecito, spingendoli a un’omertà ostinata, e nel contempo scoraggiare il ricorso a procedimenti speciali ( come patteggiamento, rito abbreviato, etc.), così gravando ulteriormente su un sistema giudiziario sovraccarico, rallentandolo».

Sul fronte politico, i grillini sono apparsi compatti intorno alla volontà di approvare il ddl, le cui previsioni sono tutte contenute nel contratto di governo. «È il momento di far capire ai corrotti che non hanno scampo, che sono circondati dallo Stato e dai cittadini perbene», hanno gioito i 5 Stelle. Salvini, invece, è suonato più freddo col suo sibillino «la lotta senza quartiere alla corruzione è assolutamente una priorità, ma bisogna stare attenti al fatto che sino a prova contraria, sino al terzo grado di giudizio, gli italiani sono innocenti, i processi sommari non possono essere svolti in un Paese civile». Una puntualizzazione che potrebbe far drizzare le orecchie ai grillini.